Il 4 aprile scorso, mentre il coronavirus picchiava duro in Lombardia, l'oramai famoso assessore regionale al Welfare Giulio Gallera si presentò con tutto il suo entourage agli Spedali Civili di Brescia. Da dietro la mascherina, presentò un progetto per un’area Covid che la Regione aveva deciso di aprire proprio nel cuore del più grande policlinico cittadino. “Un'area strutturata e non provvisoria", disse, che dovrebbe occupare l’intera scala 4, uno dei grandi raggi di cui è composto l’enorme edificio. 160 posti letto per infetti da coronavirus, con tutto ciò che questo comporta, rischiano quindi di materializzarsi dentro lo storico ospedale pubblico che ogni cittadino bresciano considera il “suo” ospedale.

“Siamo saltati sulla sedia”, ci racconta Stefano Ronchi, della Fp Cgil locale - non ne sapevamo nulla. Non siamo stati coinvolti in alcun modo, così come non ne erano informati la cittadinanza, l’ordine dei medici e il comune”. “È un’idea estemporanea, calata dall’alto - conferma Donatella Albini, consigliere comunale con delega alla salute -. Il sindaco lo ha saputo la sera prima e non è stato nemmeno invitato alla presentazione. Insomma, siamo stati messi con le spalle al muro”. Ora medici, infermieri e operatori sanitari della Fp Cgil hanno lanciato una petizione su Change.org per chiedere alla Regione di fare un passo indietro, e aprire un dibattito partecipato per trovare una soluzione alternativa. “È un’iniziativa che arriva dal personale sanitario interno al Civile iscritto al nostro sindacato - spiega ancora Ronchi -. Chiedono che su una scelta così importante, che riguarda il futuro dell’intera provincia, ci sia una discussione che coinvolga sindacati, ordini professionali, Ats e sindaco, perché sono ancora molti i punti oscuri del progetto”.

Il dibattito che non c’è
In realtà, i motivi del no dei lavoratori sono diversi. Il primo, senza dubbio, riguarda la tutela della salute dei cittadini e degli operatori. “La sicurezza è un problema - spiega Annalisa Zampedri, Rsu Fp, tra i primi a lanciare l’allarme -. Non si può attivare un intero padiglione con 5 reparti ad altissimo rischio infettivo nel cuore del Civile, con tutti i problemi che potrebbe creare alle aree confinanti”. Ma l’incertezza avvolge anche gli aspetti economici e organizzativi del progetto. Lo stanziamento previsto dalla Regione è infatti di un milione di euro, “quando una semplice tinteggiatura ne costerebbe almeno 300.000”. Si parla in effetti di un’ala di 5 piani, con 32 posti letto per ogni piano. E poi, si chiede Zampedri, “cosa diventerà il nostro ospedale con un’area Covid? Secondo me la struttura verrebbe affossata. Perché un malato con un’altra patologia ci penserebbe due volte prima di venire qui, e magari andrebbe a farsi curare dal privato”.

La disputa in città, a dire il vero, ha una storia più lunga. Sin dall’inizio della pandemia sono sbocciate e poi sfiorite varie ipotesi: s’è partiti dall’idea di riadattare il Sant’Orsola, un ospedale chiuso da una decina d’anni, in covid-hospital. Ma era troppo malridotto. Poi s’è pensato alla Fiera, a un’area annessa all’università di Ingegneria, o a riadattare l’ospedale di Montichiari. Alla fine la Regione ha imposto la “scala 4” del Civile. Gallera ha anche in mano, e non da ora, un progetto per un ospedale “movimentabile” presentato dal comune a fine febbraio. “Una struttura provvisoria e riadattabile da installare nel campo di baseball dell’università, a soli 200 metri dalle mura del Civile - spiega ancora Donatella Albini -. È stata anche chiesta una consulenza a Emergency per dividere i percorsi e renderli sicuri. A fine marzo ho chiesto lumi all’assessore, ma non ho avuto nessuna risposta”. Poi qualche giorno dopo è arrivato, dal nulla, il progetto della “Scala 4”, che tra l’altro va a intralciare un project finacing già partito per una ristrutturazione complessiva da 14 milioni di euro. “La Regione ha un approccio a dir poco approssimativo – conclude Albini -, sono colpevolmente superficiali. Ma non si può esserlo su questo tema, perché per il territorio è decisivo”.

L’ospedale, il virus, la città
Lo Spedali Civili di Brescia è infatti una delle prime aziende sanitarie pubbliche della Lombardia, un riferimento importante per Brescia e per la provincia. Impiega 6.700 dipendenti: un migliaio tra medici e dirigenti e 5.700 del comparto, di cui 3.300 infermieri. È un fiore all’occhiello della sanità regionale che, con l’esplosione della pandemia, è stato letteralmente preso d’assalto. Da 32 posti di terapia intensiva pre-Covid s’è passati in fretta a 85, attraverso una conversione di tutti i reparti, sia di quelli brescaini, sia nelle due succursali di Gardone Val Trompia e Montichiari. Nella fase di picco, i ricoverati per coronavirus erano addirittura 800 su 1.300 totali. E l’emergenza, come in tutta Italia, ha portato a rimandare tutto il resto. “In tre mesi sono state rinviate 93.000 prestazioni ambulatoriali e 4.500 agende specialistiche - spiega ancora Stefano Ronchi -. Fino al 70% dell’attività dell’ospedale, il mese scorso, era dedicata esclusivamente al coronavirus. E i lavoratori hanno pagato dazio: oltre 600 sono risultati positivi”.

Le mancate prestazioni effettuate, tra l’altro, vanno a incidere su un bilancio già piuttosto difficile. La direzione aziendale a gennaio aveva lanciato l’allarme per mancati introiti da 3 milioni di euro. L’emergenza Covid, si stima, porterebbe perdite ulteriori per 12 milioni. “E il progetto di Gallera - lamenta ancora la Fp Cgil - vincolerebbe il Civile pure nei prossimi anni. Perché i 160 posti Covid ipotizzati non sono posti in più, ma sottrarrebbero ben 100 letti accreditati per altre prestazioni”. Senza contare il personale che servirebbe per portare avanti il tutto (“almeno 300 tra medici, tecnici e infermieri”) e le attrezzature che, con ogni probabilità, verrebbero sottratte agli altri reparti.

Domande senza risposta
Non è un caso se molti in città si stanno ponendo le stesse domande: “Dove verranno recuperati i lavoratori che serviranno al funzionamento dell’area Covid? E i macchinari? Verrà ridotto l'organico e gli standard di assistenza degli altri reparti? Bisognerà impiegare risorse aggiuntive dell’azienda ospedaliera? Quali altri progetti non verranno realizzati?”. Dalla Regione Lombardia, finora, non è arrivata nessuna risposta, e nessun passo in avanti. Così il futuro del Civile resta quantomeno nebuloso. Una delibera regionale del 7 maggio, tra l’altro, rallenta il ritorno alla normalità, imponendo agli ospedali una ripresa di ricoveri ordinari “graduale”, “fino ad un massimo del 60-70% pre-Covid”, e solo per “i pazienti che necessitano di prestazioni non rinviabili oltre i 60 giorni di attesa”. Il decreto rilancio del governo, invece, ha stanziato fondi aggiuntivi, ma invita ad evitare gli “ospedali misti” che “facilmente moltiplicano il contagio”, oltre a prospettare la creazione di “300 posti letto di terapia intensiva suddivisi in 4 strutture movimentabili, pronte per essere allestite in breve tempo nelle zone ad accresciuto fabbisogno”. E la provincia di Brescia, con i suoi oltre 12.500 contagi complessivi, di certo è una di queste.

“Il problema, ora, secondo Ronchi, “sta nel tornare alla normalità e smaltire le liste di attesa. Ma anche nel farsi trovare pronti a una nuova, possibile ondata di contagi. Non siamo certo contrari a un centro specializzato, ma la pandemia finora ha congelato tutto il resto. E poi non si può decidere della città di Brescia e su come vive il suo ospedale senza consultare le parti sociali, le istituzioni e i cittadini. Tutto questo, tra l’altro, va a pesare ancor più sulla sanità pubblica. Perché la Regione non s’è immaginata nemmeno di proporre un’area Covid alle 18 strutture private provinciali, che assorbono il 40% dei ricoveri e il 50% della specialistica”. “Bisogna mettere in sicurezza operatori e persone - gli fa eco la consigliera Albini - , l’ospedale pubblico deve curare tutto e tutti. Ma in questo momento non è così. Ai privati si chiede solo di avere dei posti per il Covid, al pubblico interi reparti. Ma un milione di euro, per questo, sono spiccioli”.

“È stato un periodo duro, è stato un vero dramma – dice invece Annalisa Zampedri –. Non ci era mai successo di dover scegliere a chi dare il respiratore e a chi no. Quella scelta impossibile, però, è frutto di scelte sbagliate fatte negli anni passati. Ora sembra che tutto quello che abbiamo vissuto non ci abbia insegnato un bel niente. La Regione continua ad andare nella direzione sbagliata, mentre dovremmo ripensare l’intero sistema sanitario”. Per questo, conclude, “proponiamo che s’individui da subito un area alternativa nel perimetro esterno del Civile, per far fronte a una seconda potenziale ondata di contagi. Perché non si può bloccare la funzione di cura dell'intera struttura. Fermo restando che dovrà anche essere rafforzata tutta la medicina territoriale: il vero tallone d’Achille della sanità in Lombardia”.

"Per quel che ne sappiamo il progetto rischia di essere confuso e dannoso - commenta Michele Vannini, segretario nazionale Fp Cgil -. Dico per quel che ne sappiamo perché il primo problema di questa vicenda è la mancanza di trasparenza da parte della direzione aziendale. Dopodiché c’è una questione che riguarda la salute di operatori e cittadini ed è quello relativo alla necessità che ci sia una separazione netta fra reparti Covid e non Covid altrimenti si rischia un’esplosione di contagi. Questa necessità non è garantita dal progetto attuale". "In secondo luogo  - conclude - c’è il problema relativo al personale necessario per far funzionare l’eventuale  muovo reparto Covid; non è tollerabile pensare che si posso avviare una cosa del genere se non si dispone già del personale necessario.  Infine c’è da capire che fine faranno le prestazioni che attualmente sono garantite da quel reparto; perché siamo preoccupati dalla riduzione delle altre prestazioni ospedaliere che si riducono".