Alessandro Bergonzoni, artista e attivista per i diritti umani, invita tutti a vestire ogni giorno i panni della popolazione di Gaza e a partecipare domenica 15 giugno alla manifestazione  "SAVE GAZA: Marcia nazionale da Marzabotto a Monte Sole", promossa dal Comitato regionale per le Onoranze ai caduti di Marzabotto, dal Comune e da Anpi, Associazione famigliari vittime eccidi di Marzabotto, Scuola di Pace di Monte Sole, Ucoii e tutte le reti pacifiste nazionali alle quali aderisce anche la Cgil. 

Un’iniziativa per ribadire tutte le ragioni dell’Appello che chiede alle istituzioni italiane ed europee di fermare l’operazione militare e di nuova occupazione della Striscia di Gaza da parte del governo israeliano che sta provocando il quotidiano massacro di civili, impedendo, inoltre, l’ingresso di cibo e medicine, l’assistenza e la cura di feriti, malati, donne e bambini. 

Si moltiplicano quindi le manifestazioni in Italia e alla marcia del 15 giugno, che partirà alle 11 da Marzabotto, seguirà quella nazionale del 21 giugno a Roma, Stop Rearm Europe, in concomitanza con il vertice della Nato a L’Aja,chiamato a decidere i dettagli del gigantesco piano di riarmo deciso dall’Unione Europea.  

Come dice Alessandro Bergonzoni nel podcast “dobbiamo fare piazza, cioè piazzare sulla terra il nostro passo, il nostro nostro cammino. I nostri passi, i nostri cammini, i nostri piedi arrivano fino a Gaza e da là i loro piedi arrivano fino qua”.

Sergio Bassoli, dell’area Politiche internazionali Cgil nazionale e attivista della Rete pace e disarmo, illustra la situazione internazionale che spinge l’associazionismo a mobilitarsi: “Siamo in una congiuntura internazionale di caos e di tempeste perfette, con un’accelerazione venuta dall’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati uniti e dai suoi interventi a gamba tesa a ogni livello, nella finanza, nella persecuzione dei migranti e col tentativo di imporre soluzioni di pace in territori di guerra che sono dettate principalmente dal personale interesse e vedono i campo, al posti di diplomatici, gli immobiliaristi”. Il riferimento è alla volontà espressa dal presidente Usa di trasformare Gaza, dopo averla ‘ripulita’ di tutti i suoi abitanti, nella riviera del Medio Oriente. 

Per Bassoli nel quadro politico internazionale, “già dissestato dalle guerre che non si risolvono (basti vedere la crisi in Ucraina e a Gaza) è emerso uno sbandamento delle istituzioni e ne è una dimostrazione la corsa europea al riarmo. In Medio Oriente invece assistiamo all'opportunismo del governo israeliano, la spinta sulla il piede sull'acceleratore della pulizia etnica del popolo palestinese.

Questo ha determinato uno shock a livello generale, a ci sono state reazioni contraddittorie all’interno delle opposizioni come anche nelle forze di governo e questo ora ha portato finalmente la società civile a decidere di agire”. 

Non si sono mosse le istituzioni nazionali, aggiunge, “però stanno fiorendo le manifestazioni e le azioni del mondo intellettuale, artistico, culturale e dei cittadini. Ci sono poi casi in cui hanno agito i presidenti di Regione: in Puglia e in Emilia Romagna ci sono atti amministrativi che finalmente prendono delle posizioni contro la violazione del diritto internazionale e nei confronti del governo israeliano, chiedendo alle istituzioni di sospendere qualsiasi rapporto con soggetti israeliani che siano collegati con Tel Aviv”. 

Sono mobilitazioni per il rispetto del diritto internazionale e per il cessate il fuoco. ma anche contro chi “ormai è salito sul treno del del riarmo e pensa che sia la guerra a risolvere i problemi. Stanno convergendo tante piattaforme che nascono da soggetti diversi e da motivazioni diverse, perché il caos che si è generato sta mettendo in crisi gli stessi sistemi democratici”.

Succede così che le manifestazioni per Gaza finiscono con il legarsi al tema della sicurezza, dell’ambiente, del diritto di cittadinanza, della sicurezza sicurezza sul lavoro: “Ci sono piazze che si oppongono alla spesa militare che chiaramente debilita la spesa sociale e trasforma l'economia in economia di guerra”. 

L’Europa sta quindi schiacciando il piede sull'acceleratore del riarmo. Per Bassoli il fortissimo ritardo da parte delle istituzioni europee a leggere, interpretare e agire in questa fase storica è il vero vulnus: “Non so se riusciremo a recuperare in termini di credibilità e di legittimità. Il silenzio e l'incapacità di passare dalle dichiarazioni agli atti concreti, per esempio, di fronte a quello che sta avvenendo a Gaza e in Cisgiordania è una cosa che non sapremo come giustificare nei libri di storia e anche davanti ai nostri figli. In due anni di guerra in Ucraina, l'Europa non è stata ancora capace di aprire un tavolo per i negoziati: è incredibile, non trova nessuna giustificazione. No, proprio no”.