Oltre 4 miliardi di persone in 76 Paesi di tutto il mondo saranno chiamati alle urne in questo 2024. Un’ondata elettorale che mai prima si era vista nella storia, determinante per il futuro democratico globale e, in questo campo, le preoccupazioni non mancano.

I timori su di una rilevante deriva a destra al termina di questa tornata elettorale sono supportati anche dalle valutazioni dell’Economist intelligence unit, secondo le quali ci saranno votazioni pienamente libere ed eque in 43 Paesi, mentre altri 28 non soddisfano le condizioni essenziali per un voto democratico. L’indagine del Democracy Index, pubblicata dall’Economist, si basa su cinque criteri per classificare lo stato di salute della democrazia in 167 paesi del mondo: processi elettorali e pluralismo, funzionamento del governo, partecipazione politica, cultura politica democratica e libertà civili. “Più di un terzo della popolazione mondiale è soggetta a un regime autoritario, mentre solo il 6,4% gode di piena democrazia”, è la conclusione più allarmante.

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Ci sono poi Paesi chiamati alle urne, come Russia, Bielorussia, Iran, Pakistan, Sud Sudan, Tunisia, Corea del Nord e Venezuela che si trovano in fondo alla suddetta classifica. E poi c’è il Bangladesh, dove le elezioni hanno già avuto luogo tra proteste e scontri e con la conferma della prima ministra uscente, settantaseienne e al quinto mandato. L’Italia, dove l’8 e il 9 giugno si svolgerà l’election day (europee, regionali e amministrative) è classificata come una democrazia imperfetta, con un punteggio molto simile a quello statunitense.

Ondata o maremoto?

Si vota inoltre in otto dei dieci Paesi più popolosi del mondo e una risposta che abbia una direzione univoca in senso anche più largamente antidemocratico, sarebbe un reale pericolo in un momento storico in cui i conflitti in atto hanno i connotati di un’operazione di riassetto internazionale.

L’ondata potrebbe quindi trasformarsi in uno tsunami. L’impoverimento della classe media, in alcuni casi molto rilevante, e in generale dei lavoratori e l’accentuarsi delle disuguaglianze sono tra i fattori di rischio. La propaganda su chi ha bisogni sempre più primari può avere i suoi effetti e i più abili a propagandare in senso populista sono i partiti e i leader di destra, con dimostrazioni muscolari che hanno lo scopo di rassicurare chi è in stato di fragilità.

D’altro canto, c’è anche chi ipotizza invece un’impennata di scudi democratica contro l’autoritarismo avanzante. Le previsioni legate agli accadimenti in corso, anche bellici, a livello internazionale e interno ai singoli Paesi, ma soprattutto gli esiti elettorali dei prossimi mesi ci costringeranno in ogni caso a fare i conti con una nuova realtà che potrebbe essere in realtà molto composita. 

Una mappa delle elezioni

Percorriamo quindi i continenti. In Europa, a giugno, ci attendono le elezioni per rinnovare il Parlamento dell’Unione, ma elezioni parlamentari, presidenziali, locali si svolgeranno in 10 Paesi, mentre in Finlandia si è appena votato. Volgendoci a Est, andranno a votare i cittadini russi per le presidenziali e Vladimir Putin, autocandidatosi, non permetterà che chiunque possa scalzarlo. Elezioni anche in Bielorussia, Georgia, Azerbaigian, Turchia, Moldavia, Nord Macedonia. Poi c’è l’incognita Ucraina, con il presidente Zelensky deciso a portare il paese a elezioni, nonostante sia in vigore una legge marziale che lo vieti. 

Nell’America settentrionale ci saranno le elezioni statunitensi il prossimo novembre e qui le suddette preoccupazioni si incarnano nell’ex presidente Donald Trump, deciso a candidarsi, se la Corte suprema non si esprimerà diversamente per l’assalto al Campidoglio di tre anni fa. Le possibilità di una vittoria non sono per nulla remote e con esse la sterzata a destra a ‘stelle e strisce’. Elezioni anticipate, invece, in Canada.

In America del Sud e centrale l’attenzione è concentrata su Venezuela, Brasile e Messico.

In Asia si è già iniziato a votare. L’esito delle elezioni a Taiwan ha elevato le tensioni con la Cina, impegnata a soffocare qualsiasi anelito all’indipendenza. Urne ormai chiuse senza colpi di scena in Buthan e Bangladesh. Nei prossimi mesi toccherà ad altri 8 Paesi, tra i quali il Pakistan, il prossimo 7 febbraio, coinvolto nel conflitto mediorientale allargatosi nelle ultime settimane, India e Indonesia.

Sono invece 16 i Paesi in Africa che dovranno scegliere, a titolo diverso, i loro organi di governo. Citiamo il Sudafrica, l’Algeria, il Senegal, il Mozambico (con irregolarità e pesanti tensioni già alle recenti amministrative), il Mali (reduce da un colpo di Stato di men di quattro anni fa).

In Oceania andranno al voto 4 Paesi, tra i quali l’Austrialia.