PHOTO
"Una tregua che non è pace”, così il giornalista, già corrispondente di guerra, Alberto Negri definisce l’accordo per il cessate il fuoco a Gaza. “Un accordo che praticamente prevede due fasi. Una è quella molto importante dello scambio di prigionieri e ostaggi. Poi c'è la questione del ritiro di Israele da Gaza, in cui gli americani si dovrebbero impegnare a fare da garanti perché Tel Aviv si ritiri dal 50% del territorio della Striscia. Su questo si basa tutta l'architettura della prima fase e poi anche ovviamente la seconda. Tra le garanzie c’è anche quella che prevede, dopo lo scambio degli ostaggi con i prigionieri, che Israele non riprenda a bombardare Gaza”.
La seconda fase, dice Negri, rimane ancora “abbastanza nebulosa, quindi gli chiediamo motivo dell’entusiasmo contagioso rispetto a un accordo dai contorni ancora da definire e il giornalista, dopo avere ricordato che per i palestinesi è il momento in cui sperare per la fine dei bombardamenti e del genocidio, ci dice che questa è anche una “tregua di rabbia”: “Nel giugno dell'anno scorso era stato presentato il piano Biden che avrebbe dovuto già instaurare una tregua di 60 giorni con lo scambio di ostaggi e di prigionieri e quell'accordo è stato approvato in quel modo momento proprio da Netanyahu che però voleva continuare continuare la guerra. Al cessate il fuoco si poteva arrivare molto prima”.
La paura della pace
“La domanda che noi dobbiamo farci è chi ha paura della pace? – afferma Negri –. Prima di tutto Netanyahu, che fino all'ultimo momento ha fatto resistenza anche a Trump, che lo ha poi minacciato nella telefonata della scorsa settimana. Il presidente israeliano ha paura della pace perché è stata la guerra a tenerlo in piedi e la governo nel suo paese, addirittura sottraendolo alla commissione di inchiesta parlamentare sul 7 ottobre.
È stata la guerra che ha sospeso la sua comparizione dentro ai tribunali dove ha diverse cause. Inoltre il presidente israeliano è chiaramente in difficoltà politica: la scorsa notte gli esponenti dei partiti messianici hanno votato contro l’intesa, nonostante, per convincerli, Netanyahu si sia fatto accompagnare da due inviati di Trump, cosa che non si era mai vista prima e fatta per indicare chiaramente che questa tregua la vogliono gli americani”.
Il futuro di un popolo senza leadership
L’altro fronte è quello palestinese. “Parliamo di un popolo che non è mai stato considerato in questo accordo – dice il giornalista – e nemmeno consultato o nominato. Inoltre c'è un problema doppio, quello della striscia di Gaza è quello della Cisgiordania, che non compare mai ed è praticamente stata ridotta a brandelli negli ultimi due anni.
Hamas è stato sconfitto , ma porta sulle spalle la responsabilità enorme del 7 di ottobre. l’Anp non ha potere e i gruppi radicali islamici, come Hamas, ma anche la Jihad islamica, sono sempre più popolari. Questo è dovuto al fatto che la repressione israeliana non è stata fermata”. Naturalmente bisognerà vedere quale sarà l'evoluzione.
Quindi l'evoluzione anche dentro il campo palestinese appare particolarmente complessa e ad essa si va ad aggiungere il caso di Marwan Barghuthi, il leader palestinese incarcerato da venti anni in Israele e che in molti vedono come la soluzione per un governo della Palestina. “Se anche dovessero rilasciarlo – spiega Negri – non lo vorranno all’interno dei territori palestinesi, ma in esilio.
L’accordo prevede infatti che la Striscia di Gaza debba essere governata da un comitato politico tecnico di palestinesi che fanno riferimento da una parte a Trump e dall'altra a Tony Blair, ma questa non è una soluzione. Perché per Gaza ci vuole una soluzione politica e non soltanto una soluzione tecnica. Per questo si tratta invece di una soluzione di stampo coloniale, anche per la presenza di un Blair che sappiamo tutti avere sulle spalle la responsabilità insieme a Bush della guerra in Iraq”.
Quale ricostruzione?
Alberto negri ci ricorda che “dopo 70.000 morti, il 90% della Striscia distrutta, un popolo senza casa, senza acqua, senza elettricità, senza scuola, senza ospedali ci vorranno oltre dieci anni per la ricostruzione e nel frattempo non si sa cosa accadrà al popolo palestinese”. E guardando al futuro Negri ci dice: “I bambini di Gaza non vanno a scuola da 2 anni. Attenzione, questo non è un aspetto secondario, ma invece fondamentale anche dal punto di vista politico sociale.
Perché noi sappiamo benissimo, l’ho visto in tutti i quadranti di guerra dove sono stato, i bambini che non vanno a scuola poi finiscono nelle strade col fucile in pugno. È stato così in Iraq, è stato così in Somalia, è stato così da tante parti dove ho fatto il mio lavoro. Quindi, o mandate subito i bambini a scuola o prima o poi ve li trovate da qualche parte, disparati, pronti a combattere”