Dazi amari. La battuta è usurata, ma rende troppo bene l’idea per non usarla una volta di più. Perché l’impatto delle tariffe protezionistiche imposte da Trump, che vorrebbe – diceva all’inizio del suo secondo mandato – passare alla storia come pacificatore, scatenerà una guerra commerciale che rischia di lasciare sul campo di battaglia, grande quanto il mondo, milioni e milioni di cadaveri che neanche il secondo conflitto mondiale. Sì, perché dietro a quelle percentuali – che sembrano persino piccole, a sentirle – si muovono milioni di posti di lavoro, di stipendi – questi sì piccoli –, vite che pagheranno per prime, molto probabilmente con il licenziamento, l’abbassamento dei profitti imposto da questa dieta globale dell’import export. Ce ne accorgiamo – per capire gli effetti delle grandi scelte politiche basta prendere la lente di ingrandimento – dai commenti che fioccano in queste ore nelle stanze delle Cgil regionali, dove la preoccupazione per l’impatto di questo fatidico 15% viene tradotto nelle stime che, seppure ancora prudenti e appena abbozzate, non lasciano ben sperare. C’è poco da festeggiare, che che ne pensi la Von der Leyen con una certa malcelata luce soddisfatta negli occhi a fine trattativa. 

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Cgil Roma Lazio: “Il conto lo pagano i lavoratori”

Sono almeno 150 mila le lavoratrici e i lavoratori nel Lazio impiegati in settori colpiti dai dazi imposti dagli Stati Uniti. Oltre 30 mila lavorano in aziende a guida Usa. Si tratta di comparti che, oltre a generare profitti importanti e in crescita, anche grazie alle esportazioni verso gli Stati Uniti, contribuiscono a qualificare l’occupazione e rappresentano asset strategici per lo sviluppo economico del territorio.

Se le anticipazioni sull’accordo commerciale tra Unione Europea e Stati Uniti venissero confermate, nel Lazio sarebbero a rischio almeno 10 mila posti di lavoro, con un effetto a catena su economia e welfare locale.

A pesare su imprese e famiglie non saranno solo i dazi, ma anche gli effetti della svalutazione del dollaro, degli investimenti europei in Usa (600 miliardi di dollari), degli impegni di spesa energetica per 750 miliardi di euro in tre anni destinati all’acquisto di combustibili fossili statunitensi e della scelta di portare la spesa in armamenti al 5% del Pil.

Per questo “è fondamentale che, accanto a misure di breve periodo a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori dei comparti più colpiti, il Comune di Roma e la Regione Lazio aprano una riflessione seria sul modello di sviluppo del territorio e adottino scelte concrete per tutelare il potere d’acquisto delle persone dalla spinta inflattiva che i dazi e l’aumento del costo dei beni energetici potrebbero innescare”.

Ricci, Cgil Napoli e Campania: “Colpiti tre settori strategici: agroalimentare, farmaceutico, automotive”

La Cgil Napoli e Campania non si dichiara ottimista sull’accordo raggiunto in Scozia sui dazi. “La nostra regione – sottolinea il segretario generale, Nicola Ricci – pagherà un prezzo doppio. Tre settori strategici come l’agroalimentare, il farmaceutico, e l’automotive saranno colpiti. Non si tiene conto della svalutazione del dollaro, aumenteranno i costi di spedizione e, per quanto riguarda il settore farmaceutico, abbiamo in Campania aziende multinazionali che producono qui e vendono in America. Poi – aggiunge – c’è il tema dell’esportazione dei nostri prodotti di eccellenza dell’agroalimentare, per i quali il mercato Usa è strategico perché quasi il 30% della produzione finisce negli States. Molti imprenditori del Mezzogiorno potrebbero essere affascinati dall’idea di delocalizzare le produzioni in Usa, dal momento che Trump promette zero costi per tassazione e infrastrutture”.

“Tutto l’apparato produttivo dell’automotive, dell’agroalimentare e della farmaceutica, quindi – afferma Ricci – rischia di essere penalizzato da un accordo, i cui aspetti sono ancora da chiarire, che non tiene conto degli indicatori fondamentali: aumento dei costi, svalutazione del dollaro, numero di addetti e delocalizzazione delle attività”.

Le preoccupazioni espresse dalla Cgil trovano conferma nelle stime dello Svimez. La prevista emorragia occupazionale di oltre 103 mila unità nel Mezzogiorno, stimata dall’istituto, colpirebbe in maniera importante la Campania. “Alla luce di queste previsioni – conclude Ricci – riteniamo necessario che il governatore De Luca e il sindaco di Napoli Manfredi convochino al più presto tavoli ai quali chiamare le categorie sociali più esposte alle conseguenze economiche, che si preannunciano pesanti, dei dazi imposti da Trump. Solo in questo modo si potrà avere un quadro costantemente aggiornato della situazione e affrontare i difficili momenti che ci aspettano”.

Santarelli, Cgil Marche: “In autunno a rischio circa 5 mila posti di lavoro tra meccanica, chimica, farmaceutica e moda”

“Il nuovo accordo sui dazi? Nelle Marche sono a rischio circa 5 mila posti di lavoro tra meccanica, chimica, farmaceutica, moda e agroalimentare. Sono effetti alquanto negativi su cui occorre riflettere. Il problema oggi riguarda i prodotti che non hanno una specificità e quindi possono essere intercambiabili”. A sostenerlo è Giuseppe Santarelli, segretario generale Cgil Marche, sulla base dei dati elaborati dall’Ires Cgil Marche rispetto all’intesa raggiunta tra Europa e America sui dazi. Che aggrava il quadro locale, già delineato nelle scorse settimane: nel 2024, il Pil è stato dello 0,4, di gran lunga inferiore a quello nazionale. Con l’effetto negativo sui dazi, le Marche rischiano la recessione.

“Tutta l’attenzione ora è concentrata sulla moda – insite Santarelli –, ma, in realtà, l’allarme scatta anche per due settori in crescita a dismisura nella regione negli ultimi anni: la meccanica generale, quella di precisione e le macchine utensili, che rappresentano quasi la metà dell’export regionale, e la chimica e farmaceutica che costituiscono circa un quinto dell’export marchigiano”.

Nel complesso, circa 120 mila posti di lavoro. “Su questo ora bisogna riflettere e prestare attenzione a quanto accadrà nei prossimi mesi – conclude Santarelli –. Consiglierei al presidente Acquaroli di farsi carico di questi rischi e chiedere al governo Meloni politiche industriali di rilancio proprio dei settori manifatturieri e la ridefinizione delle Zone economiche speciali che oggi riguardano solo il Sud, considerando che le Marche sono al confine e subiscono notevoli svantaggi competitivi. Tutto questo potrebbe essere un primo passo di reale attenzione verso le Marche”.

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