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Se le anticipazioni venissero confermate, l’Unione europea non avrebbe scongiurato la guerra commerciale con gli Usa, l’avrebbe prima subita senza reagire, per poi perderla con una resa incondizionata della Commissione e dei governi nazionali, a cominciare da quello italiano. In attesa dell’accordo formale, e del quadro completo delle ricadute sui diversi settori produttivi, appare questa la sostanza di quanto accaduto. Per rendersene conto basta elencare i punti di quello che, più che un accordo politico, somiglia a un’autentica capitolazione.
Mentre le merci europee subiranno dazi generalizzati del 15% (oltre alla svalutazione del dollaro, che pesa per un ulteriore 13%), quelle americane non pagheranno alcun dazio. C’è poi l’impegno dell’Ue ad acquistare, in tre anni, 750 miliardi di dollari di beni energetici fossili americani (gas e petrolio), aggravando uno dei principali fattori (i costi delle bollette) che stanno compromettendo la competitività delle imprese europee e i bilanci delle famiglie. A questo vanno aggiunti ulteriori investimenti europei in Usa per 600 mld di dollari, che equivarrebbe a delocalizzare le nostre produzioni, con conseguente creazione di lavoro e reddito negli Usa anziché in Europa. E ancora: l’acquisto di sistemi d’arma americani, in funzione del folle obiettivo - fissato in ambito Nato - di portare la spesa militare al 5% del Pil.
Inoltre, per ringraziare il presidente Trump del trattamento che ci ha riservato, dovremmo garantire: l’assenza di contromisure sui servizi digitali e finanziari, che assicurano agli Stati Uniti un rilevante avanzo commerciale; l’esenzione dalla global minimum tax, decisa in ambito G7, per tutte le multinazionali americane; la non applicazione della digital service tax sulle big tech statunitensi, che potranno continuare a godere dei paradisi fiscali in Irlanda, Olanda, Lussemburgo; la rinuncia, di fatto, a implementare i rapporti commerciali con la Cina e i Brics, che potrebbero rappresentare fondamentali mercati di sbocco per le nostre merci.
Tutto questo avrebbe ricadute pesantissime sul sistema produttivo continentale e sull’occupazione, anche considerando che le politiche di bilancio degli Stati sono vincolate dalla nuova governance economica europea, che ha riesumato le politiche di austerità che tanti danni hanno prodotto nel recente passato. Senza cambiare una linea politica così autolesionistica, c’è il concreto rischio che si scateni una tempesta perfetta sull’economia europea e, in particolare, su quella italiana. Ci sono, nell’immediato, provvedimenti molto precisi da assumere – sia a livello nazionale che continentale – per gestire l’emergenza.
Innanzitutto, va protetto il lavoro, sia per quanto riguarda i livelli occupazionali (attraverso ammortizzatori sociali sul modello Sure, anche prevedendo il divieto di licenziamento, come durante la fase pandemica) sia a tutela dei redditi (a partire dal rinnovo di tutti i ccnl, la detassazione degli incrementi contrattuali, la restituzione del fiscal drag). Occorrono poi misure e strumenti straordinari per impedire le delocalizzazioni verso gli Usa, evitando di accelerare ancor di più il processo di deindustrializzazione che sta colpendo l’Italia in misura superiore agli altri paesi dell’Unione.
In prospettiva, va creato un vero mercato unico dell’energia, con l’obiettivo di ridurne i costi e rilanciare le fonti rinnovabili, unica vera garanzia di autonomia e sicurezza energetica. Ma, soprattutto, è necessaria una profonda ridefinizione della strategia economica e industriale dell’Ue, che abbandoni definitivamente il mercantilismo e le politiche di austerità e che, finalmente, liberi lo straordinario potenziale inespresso della domanda interna europea, con politiche comuni più espansive (modello NextGenEu): per finanziare investimenti pubblici su infrastrutture, conoscenza, salute e beni comuni; per aumentare i salari reali dei lavoratori; per mettere in campo vere politiche industriali per la conversione ecologica, la transizione energetica e l’innovazione tecnologica del nostro sistema produttivo.
La montagna di miliardi promessa a Trump dovrebbe essere destinata interamente a questi scopi. Ciò non accadrà senza una mobilitazione politica e sociale che spinga i governi e le Istituzioni europee a cambiare una rotta che, altrimenti, ci porterà inevitabilmente a sbattere. Chiediamo alla presidente del Consiglio di convocare urgentemente tutte le parti sociali per valutare il quadro complessivo delle ricadute in ogni settore e i provvedimenti necessari per tutelare lavoratrici e lavoratori e salvaguardare il nostro tessuto produttivo.
Christian Ferrari, segretario confederale Cgil