It’genocide. È genocidio. Asciutto, diretto e senza giri di parole, come solo la musica sa fare. È il titolo del brano appena uscito e nato da un’idea del collettivo Strong Words. Cinque musicisti professionisti, amici da sempre, che hanno scelto di costituirsi come gruppo per la prima volta e per un’occasione speciale: comporre una canzone-manifesto nata dall’urgenza etica e artistica di dire basta al genocidio in corso a Gaza.
La scelta di restare anonimi
Il messaggio è talmente più importante di chi lo trasmette, che il collettivo ha fatto la scelta radicale di rimanere anonimo. “Non ci interessa la notorietà, ma che la nostra canzone viaggi il più possibile e ovunque riesca ad andare”, dicono i musicisti: “Sarebbe bello se a un certo punto diventasse un canto corale”.
L’urgenza di cantare la pace
Il testo del brano è stato inciso in inglese, proprio per renderlo universalmente comprensibile, ed è stato registrato “in casa”, come racconta il collettivo: “Avremmo potuto andare in studio, ma volevamo sbrigarci. Sentivamo che era da incidere subito, che non c’era tempo da perdere”. L’idea del brano, infatti, nata a prescindere dagli ultimi eventi, si è poi legata al viaggio della Global Sumud Flotilla, quasi con l’obiettivo di essere un augurio di “buon vento”.
“L’iniziativa musicale, pur sottolineando la propria autonomia e indipendenza – spiegano i musicisti - intende sostenere e amplificare la campagna della Global Sumud Flottilla, la missione internazionale di solidarietà che si batte per rompere l'assedio e portare aiuti e speranza alla popolazione palestinese”.
Un atto d’accusa contro il genocidio
La canzone è un atto d’accusa che vuole contribuire a rompere il silenzio e scuotere le coscienze, utilizzando la musica come veicolo di denuncia sociale. “Crediamo - prosegue il collettivo - che in un mondo assuefatto a notizie tragiche, una canzone possa ancora fare la differenza”. Ci raccontano che il testo è nato da una frase, contenuta in una delle strofe: “If that word bothers you... Then this isn't just a clue” (“Se quella parola - genocidio - ti infastidisce, allora non è solo un indizio”).
Una presa di posizione artistica
Un’iniziativa dalla quale in diversi li avevano scoraggiati - come confidano i membri del collettivo - con la motivazione che l’uso stesso di quella parola ne avrebbe smorzato la diffusione soprattutto sui social. Ma questo non ha fatto che rafforzare la scelta di prendere posizione da parte degli Strong Word. Una scelta fatta in un contesto artistico e culturale schizofrenico: da un lato chi mette la faccia, e la propria arte, al servizio del messaggio pacifista; dall’altro chi preferisce non pronunciarsi. O se si pronuncia, torna poi sui propri passi.
"Cantiamo per chi è impegnato a sopravvivere”
Viene da chiedersi se, da artisti, ci voglia coraggio a prendere una posizione, ma la risposta degli Strong Words è illuminante e definitiva: “Non c'è bisogno di coraggio per noi che siamo nati in questa parte di mondo e abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce. Il coraggio ci vuole se nasci a Gaza, in Russia, in Israele, in Ucraina e in tante altre parti del mondo. In quel caso noi non avremmo avuto né la forza né il tempo di scrivere una canzone. Saremmo stati occupati a non morire di fame, a mettere in salvo le nostre famiglie, a sopravvivere”.
“It’s genocide diventi un canto corale”
La canzone è ora disponibile su tutte le piattaforme, con l’augurio – da parte del collettivo – che chi vuole la possa condividere o farla ascoltare nel corso delle iniziative a sostegno di Gaza, nei contesti pubblici, negli spazi dove il messaggio di pace può risuonare più forte. E alla domanda su cosa si aspettino da questo loro progetto, i musicisti rispondono citando Alex Langer: “Più dolcemente, più profondamente e più lontano”.