L’austerità non è più tollerabile: la legge di stabilità approvata dal governo è stata rimandata dalla Commissione europea a un esame approfondito tra marzo e giugno e rischia seriamente una bocciatura, mentre la manovra del 2017 potrebbe essere pesantemente restrittiva, poiché il governo per ricondurre il saldo strutturale verso il pareggio deve disinnescare 16 miliardi di clausole di salvaguardia che altrimenti farebbero salire le tasse e ridurre la spesa pubblica.

D’altra parte, il peggioramento della congiuntura internazionale determinato dal rallentamento dell’economia cinese e dall’incapacità del Quantitative Easing della Bce nel rilanciare un nuovo ciclo di crescita, stanno facendo aumentare le preoccupazioni sulle prospettive dell’economia italiana. La disoccupazione e il disagio sociale, i fallimenti delle imprese e la situazione di crisi di molte banche stanno diventando insostenibili. A ciò si aggiungono gli imponenti fenomeni migratori, che possono essere gestiti in modo civile e inclusivo solo se avvengono in un’economia in espansione.

Per superare questa situazione ci sono due strade che potrebbero essere percorse: il cambiamento della politica economica europea e un’azione autonoma con la Moneta fiscale. La prima richiede tempi lunghi e implica la costruzione di un’ampia alleanza tra diversi paesi, mentre la seconda potrebbe essere lanciata dal governo in tempi rapidi. Entrambe le linee d’azione richiedono una grande compattezza interna, poiché il nostro Paese si troverà di fronte a grandi pressioni se cercasse di uscire dalla morsa dell’austerità.

Data la gravità della situazione, sarebbe opportuno agire in tempi rapidi lanciando un Patto per la crescita in cui siano coinvolte le forze economiche del nostro Paese – sindacati, associazioni imprenditoriali e sistema bancario – da realizzarsi attraverso una nuova Moneta fiscale. L’emissione di speciali titoli pubblici (Certificati di credito fiscale, Ccf) per un ammontare di alcune decine di miliardi di euro all’anno può consentire di rimettere in moto un nuovo ciclo di crescita. Si tratta di titoli che non generano un debito al momento dell’emissione, danno il diritto a ottenere sconti fiscali e vengono distribuiti gratuitamente alle famiglie e alle imprese, oltre a essere utilizzati per finanziare investimenti pubblici.

I Ccf aumenterebbero la capacità di spesa e di investimento e quindi rilancerebbero la domanda interna, la produzione e l’occupazione. Grazie alla crescita del Pil, le entrate fiscali aggiuntive compenseranno il mancato gettito associato all’uso dei Ccf stessi, salvaguardando l’equilibrio di bilancio pubblico nel rispetto dei rigidi vincoli che caratterizzano l’Eurozona. Un rapporto pubblicato da Mediobanca lo scorso mese di novembre ha dimostrato la fattibilità di una manovra di questa natura.

La Moneta fiscale, dunque, è una proposta che il nostro governo potrebbe attuare in tempi brevi e in modo autonomo all’interno dell’euro e che richiede una vasta alleanza non solo tra le forze economiche, ma anche tra le forze politiche. E qui sta il punto dolente. Se guardiamo agli avvenimenti recenti ci rendiamo conto che le varie forze politiche, pur quando hanno degli obiettivi comuni, non sono mai riuscite a unire le forze per perseguirli. Si pensi, solo per fare un esempio, alla decisione di Sel – nell’ambito della battaglia per il Reddito di cittadinanza – di lanciare una propria proposta, quella del Reddito minimo, simile, ma indipendente rispetto a quella del Movimento 5 Stelle.

Pertanto, se si volesse lanciare una proposta dirompente ed espansiva come la Moneta fiscale, bisognerebbe innanzitutto costruire un vasto consenso tra le forze economiche – sindacati, imprese e banche – e solo dopo coinvolgere le forze politiche. Se il mondo economico fosse d’accordo e compatto su una proposta che porterebbe vantaggi all’intera economia nazionale, allora anche le forze politiche potrebbero accodarsi. Altrimenti, se la Moneta fiscale venisse lanciata da una particolare forza politica, molto probabilmente le altre sarebbero contrarie, in quanto non potrebbero intestarsela per sbandierarla presso il proprio elettorato.

Per concludere, la politica rischia di paralizzare qualsiasi tentativo di promuovere un vero cambiamento che ci faccia uscire dalle secche della stagnazione e dall’austerità deflattiva imposta dall’Europa. Solo le forze economiche e sociali possono avere la capacità di convincere una politica tutta concentrata sulla propria visibilità mediatica e sui propri tornaconti elettorali a imprimere un vero cambio di rotta.