È da poco il nuovo direttore dell’Istituto di Economia della Scuola superiore Sant'Anna. Ha pubblicato su riviste scientifiche internazionali prestigiose, quali Proceedings of the National Academy of Science, Nature Climate Change, Journal of the European Economic Association, Journal of Applied Econometrics. Ragionare di economia significa ragionare di mercato del lavoro, non è un caso che il professor Andrea Roventini abbia partecipato alle manifestazioni in sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici della Gkn. I referendum sono, a suo giudizio, il primo passo sulla via delle buone riforme del mercato del lavoro, quelle che faranno bene anche all’economia dell’Italia.

L'ultimo rapporto dell'Istat presentato la settimana scorsa racconta di un Paese impoverito, e la povertà è molto diffusa anche tra chi lavora. Quanto contano precarietà e frammentazione nell’impoverimento del lavoro?

I dati mostrano che in Italia le disuguaglianze di reddito e di ricchezza stanno aumentando. E si è consolidata la piaga del lavoro povero, sono più di più di due milioni i lavoratori in questa condizione. L’Italia è l’unico Paese Ocse in cui i salari non sono cresciuti negli ultimi 30 anni. Tali fenomeni sono ovviamente collegati alla bassa crescita economica italiana. Ma la perfomance deludente deriva dalle scelte di politica economica sbagliate, tra queste le varie riforme strutturali per la flessibilizzazione del mercato del lavoro che si sono succedute a partire dalla legge Treu.

Molte ricerche economiche recenti mostrano che queste riforme fanno male sia ai lavoratori e alle lavoratrici sia all’economia.

Un articolo di ricercatori del Fondo monetario internazionale mostra che tali riforme non hanno sostenuto l’occupazione, mentre hanno favorito le diseguaglianze e la volatilità salariale. Lo stesso studio suggerisce che questa flessibilizzazione sia uno dei meccanismi che limita la crescita della produttività perché i lavoratori precari non possono accumulare competenze e capitale umano. Un altro studio di ricercatori della Banca d'Italia ha analizzato la cosiddetta “riforma Poletti” che ha incentivato i contratti a termine, trovando che l’occupazione non è aumentata, mentre si è favorita la precarietà dei lavoratori e la compressione salariale con una redistribuzione del reddito dai lavoratori verso le imprese. C'è infine un altro studio che mostra come l'introduzione del Jobs Act abbia ridotto la propensione delle lavoratrici ad avere figli. La letteratura è cospicua e crescente, e non riguarda solo l’Italia. Per esempio, uno studio recente mostra che le riforme Hartz in Germania per flessibilizzare il mercato del lavoro hanno portato a una riduzione della crescita della produttività delle imprese.

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E allora cosa condivide dei referendum proposti dalla Cgil?

Condivido tutto e ho già firmato. Penso che la sottoscrizione dei quesiti sia il primo passo per fare quelle che io chiamo le buone riforme del mercato del lavoro. Le buone riforme devono irrigidire il mercato del lavoro, rendere più difficile il licenziamento, scoraggiare l'utilizzo dei contratti a termine e delle altre forme contrattuali, sostenere i salari. Per questo serve una riforma della rappresentanza sindacale per scoraggiare i contratti pirata, oltre all’introduzione del salario minimo. Anche in questo caso la ricerca economica mostra che in Germania e in Brasile il salario minimo non ha ridotto l’occupazione, mentre ha aumentato i salari e la produttività perché i lavoratori si sono spostati verso le imprese migliori, più dinamiche, ad alta produttività. Se il salario minimo fa bene alle economie tedesche e brasiliane, può far bene anche a quella italiana.

Perché è importante oggi sottoscrivere i quattro quesiti e domani votare per i referendum?

Siamo in un sistema politico bloccato. Lo studio per contrastare la piaga del lavoro povero richiesto dal ministro Orlando è stato ignorato dal Governo Draghi. Ora, la premier Meloni afferma di essere pragmatica sul salario minimo, ma ignora tutti gli studi economici pubblicati sulle migliori riviste, che mostrano inequivocabilmente la necessità di introdurre il salario minimo. Dalle mie parti questo non è pragmatismo. Inoltre, il governo attuale ha abolito il reddito di cittadinanza che forniva un piccolo freno al ribasso dei salari ed è tornato indietro sulla precarizzazione del lavoro rispetto al cosiddetto “decreto dignità”. L'arma referendaria, quindi, è uno strumento di democrazia diretta utile a uscire da questa impasse. Bisogna ringraziare la Cgil per quest’iniziativa.

Lavoro dignitoso, lavoro tutelato, ma anche lavoro sicuro.

In Italia c'è uno stillicidio di morti da lavoro e di infortuni sul lavoro, fenomeni che non dovremmo osservare in un'economia avanzata. Anche questo è frutto dello stesso modello di sottosviluppo in cui le imprese cercano di comprimere al massimo i costi del lavoro e di sfruttare la flessibilità del mercato del lavoro. Le imprese non investono in sicurezza e ricorrono a sub-appalti selvaggi. Questo è un sistema che nuoce e uccide la nostra economia, perché le imprese preferiscono racimolare qualche profitto di breve periodo tagliando i costi invece d’investire in innovazione per aumentare la loro competitività nei mercati mondiali. Quindi, i referendum della Cgil fanno bene ai lavoratori, alle imprese e all’economia del Paese.

Infine, in una situazione storica come quella italiana, ha senso utilizzare gli strumenti di democrazia diretta e di democrazia partecipata come referendum e leggi di iniziativa popolare?

Sì, perché la situazione politica si è purtroppo incancrenita. I referendum sono fondamentali, perché a fronte della mancata volontà del governo e del Parlamento di investire nella sicurezza del lavoro, nei salari dei lavoratori, nei posti di lavoro sicuri, l'unica strada da percorrere è quella degli strumenti di democrazia partecipata. I referendum della Cgil, così come le annunciate leggi di iniziativa popolare, sono importanti sia per il contenuto dei quesiti sia per il messaggio democratico che mandano.

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