La cultura, intesa nella sua dimensione insieme individuale e collettiva, il sostegno alla produzione culturale, la tutela dei beni paesaggistici e culturali, la diffusione della loro fruizione e l’obbiettivo di garantire quanto più possibile il multiculturalismo dovrebbero avere  un ruolo primario nella programmazione politica di un governo.

La democrazia è infatti connotata da  un complicato meccanismo di pesi e contrappesi e la possibilità di accedere al sapere, tanto quanto la produzione culturale, sono elementi strutturali di questo gioco di equilibri, necessario e indispensabile.

In Italia una costante degli ultimi decenni è stato un deciso depauperamento delle risorse destinate al sistema educativo e, contestualmente, una evidente sottovalutazione della centralità della cultura come elemento di rifondazione di una società capace di agire un pensiero critico. “Con la cultura non si mangia”, diceva un noto ministro dieci anni fa, a dimostrazione  della grave  sottovalutazione della cultura anche come leva economica fondamentale per traguardare la lunga crisi  economica e sociale che attraversava già allora il paese, crisi divenuta ingravescente a causa della pandemia mondiale.

Abbiamo dunque guardato con interesse allo stanziamento di quasi 8 miliardi dei fondi Next Generation Eu destinati nel Pnrr, presentato dal precedente governo, alla voce cultura, riconoscendo in questa scelta un possibile cambio di orizzonte nella valutazione del ruolo centrale della cultura nel paese.

Nel collocare nella missione indicata anche il turismo e la cura dei luoghi abbiamo voluto rileggere la valorizzazione complessiva della cultura fondata sul connubio tra arte, luoghi e società, che sostanzia l’intendimento dei padri costituenti nel redigere il testo dell’art. 9 della Costituzione. La tutela e lo sviluppo del paesaggio e del patrimonio artistico e storico della nazione non a caso vanno di pari passo allo sviluppo della cultura e della ricerca sia scientifica che tecnica, e tutto ciò è stato ricompreso tra i valori fondanti della Costituzione repubblicana.

Nel leggere attentamente il Pnrr, presentato prima della crisi di governo, notiamo però ancora l’assenza di un vero e proprio piano nazionale della cultura, che sappia definire obbiettivi congruenti con la straordinaria e capillare diffusione del patrimonio culturale nel nostro paese, con le  competenze presenti, le potenzialità inespresse di istituti di alta cultura, scuole di formazione, piccoli e grandi musei, e, nel contempo, sappia indicare gli strumenti necessari capaci di dare una impronta unitaria e coordinata ai diversi interventi. È urgente e necessario allora che il governo apra un confronto su tale questione. Se non si ha infatti una visione complessiva si rischia nuovamente di effettuare interventi non coordinati che non consentiranno al paese di dar vita ad un florido ecosistema culturale.

Di certo anche le nuove tecnologie digitali possono rappresentare uno strumento abilitante nel campo del patrimonio archivistico e degli altri beni culturali, garantire maggiore efficacia nel campo del restauro e della tutela e consentire anche una maggiore diffusione e promozione del patrimonio culturale. 

Ma la tecnologia, come sempre, deve essere al servizio di un progetto politico, di una visione, di una programmazione a lungo termine che definisca obbiettivi chiari e misurabili. Il sostegno alla cultura parte dall’educazione, investe il sostegno alla produzione culturale, e non può omettere il necessario riconoscimento del lavoro di chi in quei settori presta la propria attività.

La pandemia ha indicato infatti con chiarezza le fragilità di sistema di un largo mondo popolato da lavoratrici e lavoratori spesso precari e privi di tutele. Deve essere considerato ad esempio che le attività lavorative nei settori della produzione culturale in molti casi sono “strutturalmente” discontinue e questo dovrebbe spingere il legislatore a pensare ad un sistema di protezioni – sociali, assistenziali e previdenziali – pensate per rapporti di lavoro la cui intermittenza, in quanto fisiologica con la professione, può durare per l’intera vita lavorativa. 

Nel ripensare complessivamente il sistema culturale italiano, quindi, il tema del lavoro deve essere centrale. Insomma, non si può pensare di difendere l’arte e la cultura senza tutelare le persone che in quei campi lavorano. Si tratta insomma di immaginare un ecosistema capace di sostenere ricercatori, studiosi, artisti, professionisti del settore, di investire risorse che garantiscano la tutela del nostro patrimonio artistico e culturale e ne diffondano conoscenza e possibilità di fruizione anche a livello internazionale.

Nel paese esistono già eccellenze, sia nelle strutture storiche di formazione, come l’Istituto superiore culturale per il restauro, la Scuola di archivistica, il Centro sperimentale di cinematografia, per citarne alcune, sia nella produzione audiovisiva, come la Rai, sia nel circuito dei teatri e nelle istituzioni  museali.

Ci aspettiamo dunque una programmazione vera e non episodica dell’intero sistema che consenta di allocare in modo coerente le risorse assegnate e inverta definitivamente il segno degli investimenti nel settore.