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Nel cuore del Mediterraneo, su una piattaforma petrolifera abbandonata – monumento arrugginito di un’epoca che ha lasciato l’anima sul fondo del mare – è nata una bambina. Venuta al mondo tra rottami e puzza di greggio, senza ostetrica, senza Stato, senza testimoni. Da tre giorni, lei e altri 53 esseri umani erano lì: sospesi tra cielo, onde e disprezzo.
Non è l’incipit di una distopia. È cronaca non trasmessa. Perché mentre questo accadeva, i notiziari si occupavano dell’afa a Milano o della fine di Spalletti sulla panchina della Nazionale. Al governo, rassicurante come un messaggio precompilato, “non risultano criticità”. Solo una neonata tra i bulloni, due bimbi piccoli, cinque donne e un gruppo di naufraghi appesi al filo sottile della solidarietà civile, quella delle ong.
Open Arms li ha salvati. Di nuovo. Lo Stato, invece, ha confermato la sua vocazione all’indifferenza. Siamo la Repubblica dei proclami, ma solo quando c’è uno sbarco da contestare. Se si resta a mollo, nessun problema: zero costi, zero umanità, zero rumore. Il Mediterraneo è diventato zona grigia del diritto, mare di nessuno e coscienza di tutti.
E mentre quella bambina nasceva nel ferro e nel silenzio, qualcuno brindava al successo delle politiche di contenimento. Viva la vita, ma solo se nasce dentro i confini, con documento e codice fiscale. Gli altri sono note a piè di pagina, dati che non scaldano i talk show.
Poi ci si chiede perché non faccia notizia. Ma se vieni al mondo su una carcassa semi-galleggiante, sei solo un glitch nella narrazione. Un errore da ignorare. Su quel relitto è nata una bambina. Noi, intanto, continuiamo a galleggiare nella vergogna. Con stile. E con sobria, efficiente disumanità.