L’Unione europea pensa a come accrescere tutele e servizi per rinnovare il patto dì cittadinanza fondato sul welfare, l’Italia no. Anzi, quando il sindacato ha la “fortuna” di incontrare esponenti del governo e suggerisce che un confronto migliore per frequenza e capacità di ascolto tra esecutivo e parti sociali sarebbe utile a tutti, la reazione diventa stizzita e un po’ scomposta. Oltre che spesso arrogante. È ciò che è accaduto nel corso di un’importante iniziativa promossa in Italia dalla Ces, la Confederazione europea dei sindacati, per presentare il Documento “Il futuro della protezione sociale e dello Stato sociale nell'Ue” redatto da un gruppo di esperti di alto livello, per l’Italia nel fa parte la professoressa Elena Granaglia. Già, perché mentre la Commissione europea affida a undici personalità di studiare ciò che esiste e, soprattutto, come dovrà essere il welfare europeo, da noi il governo, senza troppa pubblicità, smantella quel che ancora esiste.

Daniela Barbaresi, segretaria confederale della Cgil, nel suo intervento all’iniziativa ha sottolineato: “Le politiche di questo governo stanno impoverendo la società, le lavoratrici e i lavoratori come i dati dimostrano”. La ministra del Lavoro non l’ha presa bene, così come non bene ha reagito alla costatazione della segretaria che l’esecutivo Meloni non ritiene utile il confronto con i sindacati. E quando, raramente, si siede a un tavolo regolarmente non tiene in nessun conto le richieste degli interlocutori.

Il Documento europeo

Un lavoro approfondito, durato mesi, quello che ha portato alla stesura del Documento diviso in due parti. La prima analizza “una serie di mega-tendenze globali che plasmano le società, le economie e i mercati del lavoro” a cominciare dai cambiamenti demografico fino ad arrivare all’innovazione tecnologica e alla digitalizzazione e a quelli ambientali e climatici. Tendenze globali che – ovviamente – incidono anche sui cambiamenti del mercato del lavoro. Il gruppo di esperti sostiene che, per reggere all’impatto di queste trasformazioni “è necessario un finanziamento adeguato, equo e sostenibile della protezione sociale”.

Le raccomandazioni

Sono 21, costituiscono la seconda parte del Documento e indicano la direzione da seguire per far sì che in Europa si rinnovi il patto sociale tra cittadini, cittadine e Unione dando vita ad un sistema di protezione sociale in grado di reggere le sfide che avremo di fronte. Raccomandazioni che dovrebbero essere ascoltate e attuate dai singoli Paesi. Tra queste: proteggere e sostenere le famiglie con bambini; garantire pari opportunità di istruzione e formazione; garantire l'accesso universale alla protezione sociale; favorire la qualità del lavoro; sostenere l'apprendimento permanente; proteggere il reddito e i posti di lavoro; promuovere vite professionali più lunghe, pensioni adeguate e assistenza a lungo termine; seguire una regola d'oro delle finanze pubbliche.

La Cgil in campo

Da tempo la Confederazione di Corso d’Italia sostiene l’importanza di rafforzare il sistema di welfare italiano, rafforzarlo e adeguarlo alle nuove emergenze attuando la Costituzione: deve essere pubblico e universale. Daniela Barbaresi nel suo intervento all’iniziativa di presentazione, ha ricordato: “È necessario che il nostro Paese si adoperi per politiche coerenti ed è altrettanto importante un ruolo forte della Ces nel chiedere all’Europa un impegno ancora più forte nei confronti dei Paesi membri, nella verifica che quelle raccomandazioni vengano seguite e quegli obiettivi prioritari vengano attuati. A partire dall’Italia, dove purtroppo le scelte del governo vanno spesso in direzioni diverse da quelle che noi vorremmo”.

Povertà, istruzione, sanità

Sono diverse le emergenze sociali: la prima è la povertà. Quasi sei milioni di persone sono colpite, Meloni e il suo governo hanno pensato bene di cancellare l’unico strumento universalistico di contrasto che avevamo. Ha affermato Barbaresi: i nuovi strumenti sono “misure che dividono la platea, sulla base di criteri come l’età e la composizione del nucleo familiare, a prescindere dalle reali condizioni di bisogno e di povertà delle famiglie. Non basta avere 18 anni per essere occupabile, oltre al fatto che si può essere poveri pur lavorando”. Serve allora una misura universale di contrasto della povertà, una presa in carico complessiva dei bisogni (economici, abitativi, educativi, ecc.) e investimenti nelle infrastrutture sociali. A cominciare dai posti in asilo nido, altro che tagli al Pnrr, ce ne voglio 200.000 in più e almeno 45.000 operatori e operatrici che li facciano funzionare.

La salute deve essere un diritto

Oggi non lo è. Basti pensare che nonostante le parole altisonanti, la realtà è che Meloni con la sua legge di bilancio oggi e soprattutto nei prossimi anni, impoverisce sempre più il Fondo sanitario. Secondo la dirigente sindacale occorre “garantire un forte investimento del servizio sanitario nazionale, aumentando il finanziamento sia in termini assoluti che in rapporto al Pil, in maniera consistente e stabile per allineare l’Italia agli altri Paesi europei e garantire il potenziamento dei servizi di prevenzione, ospedalieri e territoriali; investire sul personale con un piano straordinario di assunzioni e incrementando le retribuzioni. Rilanciare la rete ospedaliera e soprattutto l’assistenza territoriale e la prevenzione. Sostenere le persone non autosufficienti”.

L’Europa e l’Italia

Ciò che appare più stridente è la differenza tra quanto si afferma a Bruxelles e quanto si realizza a Roma. Lì si chiede maggior protezione sociale, qui si riducono il perimetro e gli investimenti di tutto ciò che è pubblico. Le conclusioni del Documento sono però nette. Serve uno “Stato sociale inclusivo ed equo per ridurre al minimo i rischi sociali e attenuare le difficoltà economiche, sostenendo nel contempo la produzione economica e il benessere individuale”.