Con la Finanziaria 2024 solo 3.760 donne saranno esonerate dalla legge Fornero. La grande bugia del governo Meloni – quella di voler cancellare quelle norme – impatta con ancora maggior forza sulla popolazione femminile, come dimostrano anche i dati sui flussi di uscita dal mercato del lavoro resi noti in questi giorni dall’Inps che evidenziano come nel 2023 molte meno donne siano andate in pensione e spesso con assegni più bassi.

Discriminate sempre

È l’ennesima conferma: “Discriminate e povere al lavoro e povere anche come pensionate: questa è la fotografia istantanea del nostro Paese”, commenta amaramente Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil nazionale. Del resto, aggiunge la sindacalista, “sulle donne si è deciso di eliminare qualsiasi forma di flessibilità in uscita e di azzerare, nei fatti, Opzione donna su cui molte facevano affidamento”.

Insomma, “come abbiamo già più volte rilevato, sulle pensioni questo governo è riuscito nell’impresa clamorosa di fare peggio della legge Monti-Fornero”. Ma vediamo nel dettaglio come tutto ciò è stato reso possibile.

Una Quota 103 “per uomini”

La stima dell’Ufficio politiche previdenziali della Cgil è molto chiara, spiega il responsabile Ezio Cigna: “Quota 103 nonostante i continui proclami è una misura praticamente inutile e che comunque riguarderà solo gli uomini. Non solo perché per una donna sarebbe già difficile raggiungere 41 anni di contribuzione, ma perché coloro che perfezionano 41 anni di contributi e 62 anni di età nel 2024, hanno già raggiunto i requisiti di Opzione donna (almeno 35 anni di contribuzione e 58 di età al 2021)”. Quindi di fatto nessuna donna “utilizzerà la nuova Quota 103 che prevede un ricalcolo contributivo come Opzione donna, a cui si somma l’incumulabilità con i redditi da lavoro e un tetto massimo al pagamento della pensione fino a 4 volte il trattamento minimo”.

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Opzione donna cancellata

Quanto a Opzione donna, con l’aumento del requisito di età di un anno (da 60 anni a 61 entro il 31 dicembre 2023) e l’azzeramento previsto dal governo nella scorsa legge di bilancio, è una misura assolutamente inutile e secondo le stime dell’Ufficio politiche previdenziali della Cgil riguarderà solo 250 persone. Entro il 31-12-2023, infatti, erano necessari 35 anni di contribuzione e 61 anni di età solo per caregiver e invalide dal 74%. I 61 anni di età si riducono di un anno per ogni figlio, fino a un massimo di due (59 anni di età). Per le lavoratrici licenziate o di imprese in crisi il requisito di età è 59 anni a prescindere dal numero di figli.

Ape sociale solo per 3.500 donne

Stessa cosa per l’Ape sociale. L’età necessaria per poterne usufruire sale da 63 a 63 anni e 5 mesi e impatterà in particolare sulle donne. Sempre secondo le stime dell’Ufficio politiche previdenziali della Confederazione di corso d’Italia, saranno solo 3.510 donne a poter usufruire di questo strumento, rispetto alle 9.000 complessivamente stimate.

I flussi di pensionamento confermano il divario di genere

Da questo punto di vista sono molto interessanti i dati resi noti dall’Inps. Le nuove pensioni liquidate nel 2023 sono state 764.907, l’11,07% in meno delle 865.948 erogate nel 2022. Di queste 101.041 pensioni in meno, ancora una volta le più penalizzate sono state le donne che fanno segnare un meno 69.731, pari al 69% della differenza totale. Il calo riguarda tutte le pensioni, ma in particolare quelle anticipate che passano da 107.520 nel 2022 a 76.904 nel 2023. Si tratta di un dato clamoroso: sono infatti il 30% in meno (30.616 in termini assoluti).

Assegni più bassi

Non solo: mentre nel 2023 per gli uomini gli importi medi degli assegni crescono leggermente (arrivando a 1.140 euro, contro i 1.135 euro dell’anno precedente), per le donne diminuiscono, passando da 963 a 950 euro (il 17% in meno sul valore mediano).

Le disuguaglianze sono evidenti e vengono certificate in maniera chiara dai dati Inps – commenta Cigna – anche per le pensioni anticipate. Sempre considerando il valore mediano, la differenza è di 353 euro: si va infatti dai 2.111 euro degli uomini ai 1.758 euro per le donne”.

Non deve trarre in inganno il fatto che le pensioni anticipate per le donne siano aumentate dai 1.720 euro del 2022 ai 1.758 euro nel 2023, sempre in media. La risposta è semplice, fa notare il responsabile previdenza della Cgil, e si spiega con le scelte di questo governo, che “azzerando Opzione donna, ha fatto calare nel 2023 (11.225 rispetto alle 24.644 del 2022) il numero delle pensioni anticipate con questo strumento il che, avendo queste un importo più basso per via del calcolo contributivo, ha conseguentemente fatto innalzare l’importo medio”.

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“Secondo le nostre stime il taglio dell’esecutivo – ribadisce Cigna – è clamoroso per le donne. Nel 2024 considerando la finestra trimestrale prevista per la pensione anticipata, la finestra semestrale di Quota 103 (versione 2023) e l’inasprimento ulteriore di Opzione donna, ci sarà un calo almeno del 30%, portando le pensioni anticipate nel pubblico a 20.464. Basti pensare che erano 41.172 nel 2022 e 29.233 nel 2023.

Gli effetti della revisione delle aliquote saranno poi pesantissimi dal 2025 in poi. Secondo le stime della Cgil nel 2025 e nel 2026 si avrà un abbattimento del 50% delle uscite (10.232), considerando che molte donne saranno costrette a lavorare fino ai 67 anni per sfuggire alla penalizzazione o ulteriori 3 anni se del comparto sanitario.

Meno pensioni anticipate per tutte le donne

Escludendo le pensioni pubbliche dal numero totale delle pensioni anticipate, le pensioni anticipate liquidate in favore delle donne passano da 66.348 del 2022 a 47.671 nel 2023. Utilizzando per prudenza il medesimo trend di calo per il 2024 (18.677 pensioni pari al 28%), la Cgil stima 34.324 pensioni anticipate nel settore privato. Con gli effetti della legge di bilancio 2023 e 2024, in particolare legati all’azzeramento di Opzione donna (solo qualche centinaio di donne potranno usufruire della misura), sommata agli effetti di Quota 103, almeno 15.000 pensioni in meno nel 2025 e 2026, si può stimare quindi un numero di pensioni anticipate nel settore privato pari a 19.324 pensioni nel biennio 2025-26.

Tutte queste misure avranno un effetto drastico sul numero totale di pensioni anticipate liquidate in favore delle donne (pubbliche e private) con un calo da 107.520 del 2022 a 76.904 del 2023. Calo notevole anche nel privato: da 66.348 del 2022 a 47.671 nel 2023.

Se ci spostiamo ancora più avanti negli anni gli effetti delle misure previdenziali messe in campo in questi anni, oltre a spostare il traguardo pensionistico per tutti, sono drammatici per le donne: le pensioni anticipate liquidate crollano dalle 107.520 nel 2022 alle 29.556 del 2026 (- 72,5%), sempre secondo stime della Cgil.

Ghiglione: donne sempre più penalizzate

“I numeri confermano una accentuata e costante penalizzazione delle donne – attacca Ghiglione –, le più colpite dalla legge Monti-Fornero e ora, con le scelte del governo Meloni, siamo nella stessa condizione. Si fa cassa sulle loro pensioni, di fatto costringendole al pensionamento di vecchiaia a 67 anni”.

Cosa fare per rimuovere le attuali disuguaglianze? Per la sindacalista è necessario creare occupazione di qualità, cioè stabile e a tempo pieno, abbattere i divari retribuitivi. Infine, conclude, “serve una riforma complessiva dell’attuale sistema pensionistico che riconosca le diverse condizioni delle persone, a partire da quelle di genere, e sani il gap dovuto a carriere discontinue e bassi salari, garantendo il riconoscimento del lavoro di cura prestato in ambito familiare che, purtroppo, anche a causa degli scarsi investimenti in welfare, è ancora quasi esclusivamente a carico delle donne”.

Pensioni, il Fact checking di Collettiva