Provincia che vai fallimento che trovi. Questo il filo che lega la sperimentazione della riforma della disabilità, tanto propagandata dalla ministra Alessandra Locatelli. Sperimentazione partita il 1° gennaio 2025 in nove province italiane: Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste e – visto gli scarsissimi risultati - prorogata fino al 31 dicembre 2026. Non convinta dei miseri risultati la responsabile del Dicastero ha pure esteso ad altre 11 province dal 30 settembre 2025, senza minimamente prendere in considerazioni le critiche che si alzano da tutte le parti coinvolte. Ma che senso ha estendere ad altre 11 provincie e allungare i tempi della sperimentazione se non si mettono in atto i correttivi che unanimemente chiedono utenti, medici di medicina generale, sindacati, operatori dei caf e in molti casi dell’Inps.

I numeri parlano chiaro

A Frosinone i dati sono eclatanti. Nei primi sei mesi del 2025 i numeri rivelano una riduzione drastica delle domande presentate: si è passati da 6.348 nel 2024 a sole 4.469 nel 2025, registrando un calo di circa il 30%. Un dato allarmante, che indica un rallentamento non fisiologico, ma strutturale, in un processo che riguarda migliaia di persone in situazione di fragilità. È la Cgil di Frosinone e Latina a tirar le somme di una sperimentazione nata male e proseguita peggio. E non finisce qui, delle 4.469 istanze presentate, solo 1.584 hanno portato all’emissione del certificato unico, lasciando oltre 3.000 persone senza alcuna risposta. Un dato che conferma le criticità già denunciate all’avvio della sperimentazione.

Un appello da ascoltare

“Stiamo assistendo alla negazione di un diritto fondamentale – afferma Giuseppe Massafra, segretario generale della Cgil Frosinone Latina –. Migliaia di cittadine e cittadini, molti dei quali vivono in condizioni di grave disagio, non riescono nemmeno ad accedere al percorso di riconoscimento della propria disabilità. Questo significa che vengono di fatto esclusi anche dalle prestazioni economiche e dai supporti cui avrebbero pienamente diritto.”

Perché la riforma non funziona

L’esperienza sul campo conta e allora la Cgil di Frosinone e Latina si prova ad individuare le ragioni di questo fallimento: “Due sono le cause principali di questo stallo. La prima è l’introduzione del nuovo certificato medico introduttivo, obbligatorio per l’avvio della procedura, che richiede tempi lunghi di compilazione e che, in molti casi, non viene redatto dai medici di medicina generale. Questo costringe le persone a rivolgersi a specialisti privati, con costi elevati spesso insostenibili per chi già si trova in situazioni di difficoltà economica e sanitaria. La seconda è la totale assenza di un coordinamento efficace tra Inps, istituzioni sanitarie e medici, che sta rallentando ulteriormente le pratiche e accentuando le disuguaglianze territoriali”.

Le riforme camminano sulle gambe di chi le deve attuare

È davvero difficile pensare che senza il coinvolgimento e l’ascolto di quanti le riforme devono attuare queste possano avere successo. Come oramai è cosa nota, i medici di medicina generale sono troppo pochi, lavorano sostanzialmente a cottimo, non hanno malattie, ferie, e le tutele di un qualsiasi altro lavoratore. Sono oberati di incombenza, molte delle quali con l’esercizio della medicina non hanno a che fare. Qualcuno li ha ascoltati prima di scrivere la riforma? Sembrerebbe proprio di no, eppure una delle maggiori criticità sta proprio nei nuovi compiti a loro vengono assegnati.

Secondo il segretario della Cgil di Frosinone e latina: “La situazione è aggravata dall’assenza di risposte da parte dell’Ordine dei Medici della provincia di Frosinone. Ribadiamo la necessità urgente di coinvolgere attivamente i medici di base e chiediamo l’introduzione di un prezzo calmierato a livello provinciale per la redazione del certificato introduttivo, così da garantire parità di accesso per tutti i cittadini a un diritto costituzionalmente riconosciuto”.

Il futuro deve cambiare

Altro che estendere la sperimentazione ad altre 11 provincie. Occorre cambiare ciò che non va. La conclusione di Giuseppe Massafra è netta: “Con questi dati, è evidente che le persone più fragili, anziché essere poste al centro di un sistema di tutela, vengono oggi sistematicamente escluse. A questo punto non si può più parlare di sperimentazione, ma di un modello già operativo che sta producendo esclusione e disuguaglianza. Chiediamo con forza che si apra immediatamente un confronto serio con le organizzazioni sindacali e le istituzioni locali, per ripensare un percorso condiviso, equo e trasparente”.

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