Dal 1° gennaio 2025, la nuova riforma della disabilità, prevista dalla legge n. 227 del 2021 e dal decreto legislativo n. 62 del 2024, ha iniziato la sua fase sperimentale in nove province italiane: Brescia, Catanzaro, Firenze, Forlì-Cesena, Frosinone, Perugia, Salerno, Sassari e Trieste. La recente legge n. 15 del 2025 proroga l’attuazione su tutto il territorio nazionale di un anno, fino al gennaio 2027. Dal 30 settembre 2025 entreranno nella fase sperimentale altre 11 province: Alessandria, Aosta, Genova, Isernia, Lecce, Macerata, Matera, Palermo, Teramo, Trento e Vicenza. La ministra per la Disabilità, Alessandra Locatelli, ad aprile ha annunciato che entro febbraio 2026 la sperimentazione verrà allargata ad altre 50 province. Su questo tema Collettiva ha intervistato il presidente dell’Inca Cgil, Michele Pagliaro.
Cosa cambia con la nuova riforma della disabilità?
A oggi, il riconoscimento della disabilità avviene tramite apposite commissioni mediche, spesso coordinate dall’Inps, che valutano la gravità della condizione e stabiliscono se una persona ha diritto a specifiche prestazioni economiche, come ad esempio pensioni di invalidità civile o indennità di accompagnamento. In base al grado di invalidità riconosciuto, lo Stato dovrebbe fornire un sostegno economico e servizi assistenziali, come aiuto a domicilio o inserimento in strutture residenziali, nonché agevolazioni fiscali e lavorative o scolastiche (permessi, congedi, turni, sede e altre).
La nuova riforma si presenta come una semplificazione della procedura di accertamento della condizione di disabilità. Se fino a oggi, infatti, erano previste una serie di visite mediche separate, con la revisione dei processi valutativi di base prevista dalla riforma, ora vengono valutati in un’unica visita medica, la Valutazione di Base. La riforma ha disposto che l’avvio del procedimento di valutazione di base avvenga con l’invio, da parte di medici accreditati, del nuovo certificato medico introduttivo, senza necessità di ulteriori domande da parte del cittadino o di enti preposti e abilitati quali gli enti di patronato, che storicamente hanno sempre svolto un ruolo di tutela e di assistenza nei confronti dei cittadini con disabilità e delle loro famiglie.
Un primo bilancio della sperimentazione nelle nove province
“Questa sperimentazione – ha detto Michele Pagliaro – ci vede fortemente coinvolti, in quanto punto di riferimento per migliaia di persone nonché partner strategici dell’Inps nello svolgimento dell’attività di informazione, assistenza e tutela delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Paradossalmente, stiamo rilevando che quella che è stata presentata come una semplificazione non sta portando i benefici sperati”.
“In realtà – spiega – l’apparente semplificazione – unicità della domanda – per come è organizzata, sta creando rilevanti problematiche per i cittadini più fragili e per i medici certificatori coinvolti. Si è avviata una sperimentazione, che si sta ulteriormente implementando (territori, patologie, attesa dei regolamenti), ma sulla cui utilità si nutrono forti perplessità alla luce della mancata emanazione dei regolamenti attuativi delle nuove modalità e criteri di accertamento della disabilità: la fase sanitaria di accertamento a oggi rimane sostanzialmente immutata rispetto ai criteri valutativi”.
“Una riforma dunque bloccata – è la denuncia del patronato della Cgil – di cui anche l’Inps è vittima, in quanto deve operare in una situazione di vuoto normativo prolungato o dotarsi di personale sanitario e socio sanitario e di strutture adeguate in cui svolgere le visite. La riforma si è dimostrata quindi sganciata dalla realtà, a partire dall’esclusione degli enti di patronato che fino a oggi hanno garantito un valido processo di presa in carico delle persone con disabilità”.
“Le richieste di valutazione della disabilità, ad oggi, rispetto allo scorso anno, hanno subito una diminuzione – ha detto Pagliaro –. Con la nuova procedura prevista dalla riforma si accumulano ritardi che ostacolano l’accesso ai diritti per le persone più vulnerabili. La sperimentazione in corso sta facendo emergere un sistema meno efficiente, con un aggravio di lavoro extra per il personale medico che non ha le competenze e il tempo di gestire pratiche complesse, con il rischio di incremento dei costi a carico dei cittadini o dilatazione dei tempi. Con il passare delle settimane, sono stati apportati dei correttivi da parte dell’Istituto, anche grazie alle segnalazioni raccolte dall’Inca, in pieno spirito di collaborazione con l’Inps”.
“Un’altra criticità è legata ai dati socio-economici, fondamentali per il buon esito delle pratiche: su 36 mila certificati pervenuti nelle nove province della sperimentazione – fa sapere l’istituto – sono solo 12 mila i dati socio-economici pervenuti all’Inps. Questo significa che un certificato su tre risulta privo di dati fondamentali per procedere. Va evidenziato, per la trasmissione dati socio-economici, che il 90% delle persone si è rivolta a un patronato, nonostante questo istituto sia stato messo ai margini dalla riforma. Per chi lo ha fatto da solo, nel 34 per cento dei casi la domanda è risultata incompleta, a testimonianza di una procedura complessa che necessita di una consulenza professionale”.
Cosa chiede l’Inca
A marzo 2024, il raggruppamento CE-PA, di cui fa parte l’Inca, ha chiesto un incontro alla ministra per le Disabilità Alessandra Locatelli. Il patronato della Cgil ritiene opportuna la modifica della norma nella parte in cui ha previsto che il certificato medico introduttivo abbia anche valore di avvio del procedimento amministrativo. L’Inca vorrebbe il ripristino della richiesta amministrativa da parte del cittadino eventualmente patrocinata dal patronato, restituendo agli istituti di patronato il dovuto ed efficace ruolo riconosciuto nell’ambito della tutela delle invalidità sia a livello normativo che costituzionale.
Infortuni sul lavoro e malattie professionali possono portare alla disabilità: qual è la situazione?
Secondo gli ultimi dati Inail, le denunce di infortunio in occasione di lavoro e quelle di infortunio in itinere sono state quasi 110 mila. Le denunce di malattia professionale nel primo trimestre 2025 sono state quasi 15 mila, l’8% in più rispetto allo stesso periodo del 2024. Le patologie del sistema osteo-muscolare e del tessuto connettivo, quelle del sistema nervoso e dell’orecchio continuano a rappresentare, anche nel primo trimestre del 2025, le prime tre tipologie di malattie professionali denunciate, seguite dai tumori e dalle patologie del sistema respiratorio. Infortuni e patologie, dunque, anche molto gravi che possono portare a disabilità o addirittura a morire. Questo ci porta al tema della sicurezza sul lavoro, oggetto di uno dei quesiti referendari: stiamo arrivando all'8 e 9 giugno, se vincesse il sì cosa cambierebbe per chi lavora?
“Il quarto quesito referendario – ci ha detto Michele Pagliaro – interviene in materia di salute e sicurezza sul lavoro. È importantissimo perché In Italia ogni giorno tre persone muoiono sul lavoro. Se vincerà il sì, verranno modificate le norme attuali, che impediscono in caso di infortunio negli appalti di estendere la responsabilità all’impresa appaltante. Basti pensare al crollo nel cantiere per la costruzione del supermercato Esselunga a Firenze, avvenuto il 16 febbraio 2024, che ha causato la morte di cinque operai e ha evidenziato una serie di criticità legate agli appalti e alla sicurezza nei cantieri. Le leggi attuali favoriscono il ricorso ad appaltatori privi di solidità finanziaria, spesso non in regola con le norme antinfortunistiche. Votare sì – estendere la responsabilità dell’imprenditore committente – significa garantire maggiore sicurezza sul lavoro”.