Non ci sono più certezze. Si naviga a vista, senza alcuna prospettiva di medio-lungo periodo e si va avanti così ormai da anni. Per la precisione, dal 2013, allorquando la Sanac di Massa (azienda siderurgica, fondata nel 1939 per volontà dell’Iri, leader in Italia con il 35% della produzione di materiali refrattari per la colata dell’acciaio, nei quattro impianti dislocati a Massa, Assemini, Vado Ligure e Gattinara) andò in amministrazione straordinaria, sotto l’egida di tre commissari, risucchiata dentro il calderone delle vicissitudini dell’Ilva: prima lo scandalo, avvenuto nel 2012, con il sequestro dello stabilimento di Taranto per i reati d’inquinamento e danno ambientale, culminato con l’arresto di Emilio Riva e dei suoi figli, seguito dalla confisca, poi dal commissariamento e infine dalla cessione al colosso indiano ArcelorMittal, la più grande azienda siderurgica mondiale con il 10% della produzione globale dell’acciaio.

Successivamente, tre anni fa, l’avvio della procedura internazionale di vendita sul mercato di Sanac, che non si è ancora conclusa, pur essendo rimasto un unico competitor, ArcelorMittal per l’appunto, che a maggio 2018 ha avanzato un’offerta economica, durante un incontro negoziale fra le parti al ministero dello Sviluppo economico. “Da quella data - afferma Nicola Del Vecchio, segretario generale Filctem Cgil Massa Carrara -, stiamo ancora aspettando che si concluda l’iter di acquisizione. Sembrava che il processo fosse in dirittura d’arrivo, che rimanesse da fare solo una semplice formalità e che tutto dovesse completarsi nel breve volgere di qualche settimana. Invece, siamo ancora qua in attesa. Senza dimenticare che, per mantenere l’offerta, ArcelorMittal ha dovuto sottoscrivere una polizza fidejussoria, reiterata di volta in volta (l’ultima, scadrà il 20 novembre prossimo).     

Oltretutto, denunciano i sindacati, il gigante indiano, nel corso del tempo, si è dimostrato un interlocutore poco affidabile. “Paga a singhiozzo, e ha già maturato debiti enormi per svariati milioni nei confronti di Sanac, che risponde facendo ‘magazzino’, ovvero non spedisce nulla fino a quando ArcelorMittal non paga le commesse. Ma così facendo, rischia di darsi la zappa sui piedi. Ad oggi, l’azienda toscana rimane appetibile sul mercato, ma non abbiamo contezza della situazione a lungo termine e di questo passo finirà con il rimanere schiacciata, essendo legata mani e piedi ai destini di Taranto, in quanto il 75% della sua produzione finisce laggiù”, prosegue il dirigente sindacale. 

Anche la posizione di Sanac non è nient’affatto facile. L’amministrazione straordinaria in cui versa la obbliga a non poter andare dalle banche per ottenere crediti. Questo, ha ricadute negative anche sul pagamento degli stipendi dei dipendenti, e sul futuro stesso dell’azienda. Non sappiamo se il gruppo voglia ancora investire in Italia, né abbiamo certezze del nuovo piano industriale. Non ci sono commesse o investimenti tali che possano garantire la sopravvivenza dell’azienda. E oltre all’assenza di prospettive per il 2021, permane sempre il rischio concreto di chiusura.

Per giunta, Sanac è un’azienda datata. “Necessiterebbe di risorse importanti, finalizzate soprattutto al riammodernamento degli impianti - spiega Del Vecchio -, ma manca un soggetto che abbia la capacità d’investire. Bisognerebbe poi puntare sulla valorizzazione del comparto ricerca e sviluppo, anche in vista dell’acquisizione di nuove produzioni e di nuovi mercati nel campo dell’innovazione tecnologica, al fine di aggiornare il prodotto. Per questo, c’è un bisogno urgente d’individuare un soggetto che diventi proprietario. L’assenza di tutto questo ingenera preoccupazioni crescenti nei lavoratori. Perciò, abbiamo fatto richiesta di un nuovo incontro al Mise, per ottenere un coinvolgimento diretto del Governo sulla vertenza”, osserva il sindacalista. 

Insomma, c’è solo nebbia all’orizzonte. Come hanno scritto, di recente, le organizzazioni sindacali al Prefetto di Massa, “le difficoltà della siderurgia e l’incertezza in merito a quanto accadrà a Taranto nell’impianto ex Ilva stanno fortemente rallentando la produzione, mentre le nostre preoccupazioni sono in aumento, vivendo in un territorio già impoverito dalla crisi”. Attualmente, le quattro unità aziendali stanno producendo a ritmi ridotti, facendo ricorso a dosi importanti di ammortizzatori sociali: i 360 addetti sono per il 50% in cassa integrazione straordinaria, tranne l’impianto di Massa, dove le 110 unità sono in cassa solo al 20%. La cigs non è fatta a rotazione, ma viene chiuso tutto l’impianto per dieci giorni, di solito gli ultimi del mese. Per tali ragioni, lavoratori e sindacati esprimono forti preoccupazioni, motivate anche dalla crisi crescente del settore e dall’incertezza in merito a quanto accadrà a Taranto.

“In questi mesi, alle incertezze sull’esito della procedura di vendita di Sanac, ai dubbi sulle reali intenzioni di ArcelorMittal in ordine alla presenza in Italia, al calo dei volumi già evidente, si è aggiunto l’impatto negativo della pandemia da Covid-19. Le conseguenze, che abbiamo più volte denunciato, investono vari aspetti dell’attività aziendale, con l’ulteriore riduzione dei volumi produttivi, un maggiore ricorso alla cassa, uniti a problemi di liquidità, come effetto di ritardati pagamenti da parte di ArcelorMittal. Ormai, è una situazione insostenibile: abbiamo bisogno di risposte certe sul futuro, anche perché la siderurgia è strategica per il nostro Paese e non può essere abbandonata. Chiediamo un incontro urgente con il Governo, al fine di ricevere impegni concreti sulle reali volontà di prosecuzione dell’attività produttiva, conseguentemente al mantenimento degli attuali livelli occupazionali”, rilevano le segreterie provinciali di Filctem, Femca e Uiltec di Massa Carrara.

Le azioni di lotta per sbloccare la situazione sono state innumerevoli da parte dei sindacati. “Abbiamo accumulato almeno una decina di giornate di sciopero, accompagnate da manifestazioni, presìdi e ogni altro genere di iniziative, come l’occupazione delle corsie dell’Aurelia, mentre in ottobre attueremo lo stop dei camion con il materiale destinato a Taranto. Tutto questo, anche per ottenere attenzione e solidarietà da parte della popolazione, avendo la necessità di catalizzare la vertenza su tutto il territorio. Il 7 settembre scorso abbiamo organizzato un tavolo negoziale con tutte le forze istituzionali del territorio, dal Prefetto alla Regione, alla Provincia, ai sindaci, ad esponenti parlamentari. In quella sede, abbiamo chiesto che ArcelorMittal venga convocata presso la commissione Attività produttive alla Camera e abbiamo anche fatto domanda per l’apertura di un nuovo tavolo al Mise. Nei prossimi giorni, metteremo in calendario ulteriori forme di protesta”, conclude Del Vecchio.