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È tempo di una Conferenza Cittadina sul salario, promossa dalle istituzioni, pubblica e aperta, affinché nel 2026 si rimetta al centro dell’agenda politica della Capitale la questione salariale. È una proposta che abbiamo avanzato al sindaco Gualtieri in questo periodo, dopo la condivisione di importanti misure con il Comune di Roma e la Regione Lazio sulle politiche di bilancio e fiscali per sostenere i redditi e correggere, per quanto possibile, le storture di una legge di bilancio nazionale sbagliata che penalizza lavoratori, lavoratrici, pensionate e pensionati.
Nel nostro Paese, chi vive di salario conta fino all’ultimo centesimo prima di decidere ogni acquisto, spesso convive con l’ansia di come sostenere una spesa imprevista e con una sola certezza: rinunce e sacrifici. Eppure, di salario il Paese non parla. O meglio, non ne parla la classe dirigente nel suo complesso.
Dare risposte alla questione salariale e al declino di lungo periodo del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni non è solo un fatto di giustizia sociale: è un tema di democrazia. Quanto più crescono le disuguaglianze economiche e si concentra la ricchezza, tanto più si concentra anche il potere e le decisioni pubbliche finiscono per riflettere in modo sproporzionato gli interessi e le spinte dei gruppi sociali più ricchi.
Se istruzione, sanità, sicurezza economica e prospettive di vita dipendono dal reddito, che nella maggioranza dei casi coincide con il salario, anche la possibilità di partecipare davvero alla vita democratica cambia. Chi ha meno risorse ha meno tempo, meno influenza, meno possibilità di organizzarsi; e così i bisogni della maggioranza delle persone finiscono per essere sottorappresentati.
Ne deriva una deformazione della democrazia. È vero che tutti possono votare, ma è altrettanto vero che non tutti riescono a incidere allo stesso modo sull’agenda politica e sulle scelte pubbliche. E chi non incide, a un certo punto, smette di partecipare.
Ci sono soggetti e forze politiche che auspicano e normalizzano un modello di democrazia di questo tipo, in cui la disuguaglianza non è una stortura da sanare, ma ciò che rafforza il sistema perché serve a mantenere rendite di posizione, ad accrescere ulteriormente la propria influenza, a evitare il governo delle complessità, riducendo sempre di più il numero di persone a cui rendere conto nei processi decisionali.
Occuparsi di salari, dunque, significa occuparsi di democrazia, praticare la Costituzione e combattere le disuguaglianze. Perché dove le retribuzioni sono basse aumentano i ricatti e viene meno la libertà delle persone, dentro e fuori i luoghi di lavoro, nel presente e nel futuro, poiché salari bassi producono pensioni basse.
Per cambiare tutto questo, la contrattazione collettiva è una leva imprescindibile, ma da sola non basta. In questi anni, grazie alla mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori, molti contratti sono stati rinnovati e hanno recuperato anche l’inflazione; eppure la qualità della vita delle persone che devono lavorare per vivere non è migliorata. Serve conquistare una legislazione che riequilibri il rapporto di potere tra lavoro e capitale e servono politiche pubbliche differenti, anche nei territori.
Rimettere al centro il salario nell’agenda politica cittadina significa affrontare anche il tema delle tariffe dei servizi, del mercato immobiliare e degli affitti, dei trasporti pubblici, dei servizi educativi, del costo del lavoro negli appalti pubblici e nelle società partecipate, delle imposte locali.
Ogni scelta, a cominciare da quelle contenute nei bilanci degli enti locali, può aumentare o ridurre il potere d’acquisto dei salari, determinare la libertà delle persone e la loro reale partecipazione ai processi decisionali e alla vita democratica. Noi al fatalismo non ci arrediamo, continueremo a mobilitarci e a lottare per cambiare l’esistente.
Natale Di Cola, segretario generale della Cgil di Roma e del Lazio
























