"Anzichè diminuire, le crisi industriali aumentano, e i 160 tavoli aperti al Mise, in realtà, non raccontano appieno la drammaticità della situazione che stiamo vivendo nel Paese". Tavoli di crisi, cassa integrazione, precariato. Su questo e altro ancora ha risposto la segretaria confederale Cgil Tania Scacchetti ai microfoni di RadioArticolo1. "Molte fabbriche chiudono per non riaprire mai più – ha proseguito la dirigente sindacale – e a pagare sono sempre i lavoratori, come testimonia l'esplosione delle ore di Cigs, aumentata nell'ultimo anno del 450%. La crisi coinvolge grandi gruppi, ma tutto il nostro sistema imprenditoriale è in crescente difficoltà. Se a questo, sommiamo il fatto che abbiamo già perso il 25% del modello industriale, e che il lavoro che si è generato è perlopiù precario e povero, concentrato nel terziario a basso valore aggiunto, il quadro è davvero a tinte fosche. Siamo di fronte a una crisi conclamata e di lunga durata".         

"Abbiamo due grandi problemi a monte: la trasformazione ecologica e l'infrastrutturazione materiale e immateriale del Paese, attraverso l'avvio di una seria politica industriale. L'attuale modello di sviluppo non tiene più ed è per questo che noi, da anni, proponiamo l'esigenza di un Piano del lavoro, perchè oggi in Italia non c'è più la capacità di garantire un lavoro dignitoso, nè vi è la possibilità di una crescita territoriale basata sull'innovazione tecnologica e su una competizione alta, che sono poi sinonimi di sviluppo. A conferma di ciò, arrivano i dati Inps sul precariato, che confermano quanto paventavamo, cioè che ci sono meno uomini e donne che lavorano rispetto al 2018, e chi lavora è soprattutto precario e a basso valore aggiunto. Oltretutto, è una precarietà durevole che rischia di protrarsi nel tempo, magari passando da un datore di lavoro all'altro. Insomma, l'occupazione aumenta, ma la qualità e le ore lavorate diminuiscono, a testimonianza della povertà e della frammentarietà dell'attuale mercato del lavoro", ha proseguito l'esponente Cgil.

"Nel contempo la disoccupazione giovanile non diminuisce, e ancora cresce il lavoro intermittente e occasionale, a partire dal fenomeno dei rider. Sempre dall'ultimo osservatorio Inps sulla precarietà, si evince che il lavoro femminile in Italia è sempre il fanalino di coda nell'Unione europea, e quasi sempre di natura precaria, a cominciare dal part time involontario, quando tutti gli istituti internazionali, Ocse in primis, concordano nel dire che l'unico modo per innalzare il Pil e la crescita di un paese è proprio quello di aumentare la percentuale di donne che lavorano. Il nostro, è un paese che vive di incentivi e sostegni al reddito e non si impegna in politiche del lavoro strutturali e di lunga durata. Ovviamente, vi sono regioni del Nord dove il tasso di occupazione si avvicina al 70%, in media Ue, e non è un caso che in quei contesti il sistema di welfare sia storicamente più sviluppato", ha aggiunto la sindacalista.

"Uno dei settori dove bisognerebbe intervenire è quello dei servizi pubblici, come ci ha ammonito di recente l'Unione, a fronte di un tasso di precarietà eccessivo, nonchè di scarsa qualità. È un problema che ci portiamo avanti da oltre un decennio, frutto di politiche caratterizzate dall'aumento delle esternalizzazioni e dalla diminuzione del perimetro pubblico, oltrechè dal blocco prolungato della contrattazione e del turn over, con l'aumento di comparti pubblici gestiti da lavoratori di natura privatistica, con contratti diversi e spesso con retribuzioni inferiori e con meno diritti rispetto ai loro colleghi della pubblica amministrazione, con impoverimento della qualità del servizio e della centralità del ruolo pubblico nell'erogazione dei servizi. Insomma, il richiamo di Bruxelles è sacrosanto, ma trovare oggi le soluzioni per riportare centralità e stabilità dell'occupazione sarà un percorso lungo, anche perchè l'immissione di precari è stata altissima e il ministro Bongiorno non affronta il tema con l'urgenza che dovrebbe e continua ad avere una visione di riforma della pa tutta incentrata su una logica punitiva e di controllo, dimenticando il nodo dell'assenteismo è in primo luogo un danno per i dipendenti seri, che fanno il loro dovere", ha concluso Scacchetti.