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La produzione industriale italiana continua a rallentare. Secondo gli ultimi dati, la manifattura segna un calo di circa due punti percentuali su base annua: un segnale che conferma il progressivo indebolimento del sistema produttivo, già appesantito da costi energetici elevati, domanda interna stagnante e difficoltà di accesso al credito.
Per la Cgil non si tratta di un semplice ciclo negativo, ma del risultato di un’assenza strutturale di politica industriale. Il sindacato denuncia un governo privo di visione strategica, incapace di orientare la transizione tecnologica e ambientale e di sostenere un modello di sviluppo capace di tenere insieme impresa, lavoro e innovazione.
Dazi e incertezze globali
La guerra commerciale tra Stati Uniti, Cina ed Europa si sta traducendo in una nuova ondata di instabilità per il manifatturiero italiano, fortemente dipendente dall’export. I dazi su acciaio, componentistica e prodotti intermedi mettono in difficoltà intere filiere – dall’automotive alla meccanica – basate su catene di fornitura internazionali.
Per la Cgil è necessario che il governo si muova in sede europea per promuovere una strategia industriale comune, capace di proteggere la produzione continentale senza scivolare nel protezionismo. L’obiettivo deve il rafforzamento della sovranità produttiva europea, non l’isolamento dal mercato globale.
Ammortizzatori in crescita, ma senza prospettiva
Il ricorso agli ammortizzatori sociali è tornato a crescere in modo significativo. Le ore di cassa integrazione ordinaria e straordinaria aumentano in tutti i settori, segno che la frenata produttiva si sta consolidando.
Questo aumento, secondo la Cgil, evidenzia la mancanza di politiche di prevenzione e riconversione: gli strumenti di sostegno al reddito, pur necessari, non possono diventare sostitutivi di un piano di rilancio dell’occupazione.
Il sindacato propone di legare gli ammortizzatori a percorsi formativi, riqualificazione professionale e investimenti nella transizione verde, per evitare che diventino soltanto un tampone temporaneo.
Delocalizzazioni e regole mancate
Nonostante gli incentivi pubblici, molte imprese continuano a spostare la produzione all’estero. Il fenomeno delle delocalizzazioni, spesso motivato da minori costi del lavoro, continua a erodere competenze, posti e valore aggiunto.
La Cgil chiede una legge vincolante che impedisca di delocalizzare dopo aver usufruito di fondi pubblici, prevedendo piani di reindustrializzazione obbligatori in caso di chiusura di siti produttivi. Senza regole certe, sostiene il sindacato, il sistema industriale italiano continuerà a perdere pezzi strategici e capacità tecnologiche.
La transizione che non decolla
Sul fronte della transizione energetica e ambientale, l’Italia resta in ritardo. Le imprese faticano a investire in tecnologie pulite, frenate da incertezze normative e carenza di incentivi stabili.
La Cgil critica l’approccio del governo, che lascia al solo mercato il compito di guidare la trasformazione: “Senza un indirizzo pubblico – sostiene il sindacato – la transizione rischia di diventare un fattore di diseguaglianza, con pochi vincitori e molti perdenti”.
Occorre un piano industriale nazionale per la decarbonizzazione, che unisca investimenti pubblici, innovazione, formazione e tutela occupazionale. Solo così la transizione potrà essere realmente “giusta” e generare nuova occupazione di qualità.
Un vuoto strategico da colmare
Il rallentamento produttivo, l’aumento degli ammortizzatori e la fuga delle imprese segnalano un malessere profondo del sistema industriale italiano. Eppure, osserva la Cgil, manca una risposta politica all’altezza della sfida.
Il sindacato propone una strategia di sviluppo integrata, fondata su investimenti pubblici mirati, ricerca, digitalizzazione e politiche attive del lavoro. “Serve una politica industriale che metta al centro il lavoro e la sostenibilità – afferma la Confederazione – non bonus episodici o deregolamentazioni. Senza una direzione comune, l’Italia rischia di restare un Paese che importa tecnologia ed esporta precariato”.