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L’aumento della cassa integrazione, il sostanziale fallimento del bando di vendita, la mancanza di un progetto industriale. E un governo che si ricorda di convocare i sindacati (che chiedevano un incontro da settimane) solo all’ultimo momento. Per i lavoratori, insomma, non vi è altra strada: lo sciopero nazionale. Si tiene quindi oggi (giovedì 16 ottobre) lo stop di tutti gli stabilimenti dell’ex Ilva (attualmente Acciaierie d’Italia).
Uno sciopero preceduto da una campagna di assemblee organizzate da Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil, ovunque molto partecipate, in tutti gli impianti italiani. Iniziate martedì 7 nel sito di Racconigi (Cuneo) e mercoledì 8 ottobre in quelli di Genova e Novi Ligure (Alessandria), le assemblee sono proseguite negli impianti lombardi, veneti e campani, per concludersi (da lunedì 13 a mercoledì 15) nello stabilimento di Taranto.
Un primo obiettivo, però, è stato raggiunto. Nella serata di ieri (mercoledì 15) è arrivata la convocazione a Palazzo Chigi. “Un risultato importante – scrivono le tre sigle – ottenuto con la mobilitazione e le assemblee che si sono svolte in tutti siti del gruppo con la partecipazione dei lavoratori di Acciaierie d’Italia, Ilva in amministrazione straordinaria e dell’indotto”.
Le ragioni dello sciopero
Le motivazioni che hanno spinto i sindacati a dichiarare lo sciopero nazionale, però, sono ancora tutte lì. Fiom, Fim e Uilm chiedono “un progetto industriale che garantisca la realizzazione della decarbonizzazione della produzione, l’ambientalizzazione e il ripristino di luoghi di lavoro sicuri e dignitosi”, nonché “l’intervento pubblico che garantisca tutta l’occupazione”.
I sindacati esprimono anche la loro “contrarietà a una cassa integrazione senza una chiara prospettiva” e chiedono “il mantenimento dell’integrità del gruppo”, esprimendo un secco “no allo spezzatino societario”. Infine, sollecitano “l’apertura di un confronto che affronti la complessità delle questioni sociali e che individui un quadro di strumenti che diano risposte ai lavoratori, per il pregresso e per il futuro”.
Scarpa, Fiom: “La situazione è sempre più grave”
“La situazione degli stabilimenti, Taranto in primis, si aggrava ogni giorno di più”. Così il responsabile nazionale siderurgia Fiom Cgil Loris Scarpa, ritenendo altrettanto “inaccettabile il fatto che governo e ministero del Lavoro abbiano pensato di parcheggiare i lavoratori in cassa integrazione, dando ai commissari la facoltà unilaterale di farlo”.
Riguardo i risultati del nuovo bando di gara, per Scarpa “è ora che il governo assuma una exit strategy con capitale pubblico per garantire la decarbonizzazione”. Il dirigente Fiom così conclude: “In questi giorni accediamo solo ai mezzi stampa per conoscere il futuro degli stabilimenti. La verità è che il governo non sa cosa dirci. Ma i lavoratori dell’ex Ilva non accettano che si decida sulla loro pelle: è per questo che lottiamo e lotteremo, a partire da oggi, con la mobilitazione di tutti gli stabilimenti”.
Sindacati: “No allo spezzatino del gruppo”
Fiom, Fim e Uilm rilevano che dalle assemblee, cui hanno partecipato anche i lavoratori dell’indotto, è emersa “la piena consapevolezza della gravità della situazione: l’incertezza sulla continuità produttiva e l’incognita sulla cessione del gruppo, dopo aver appreso, a mezzo stampa, le sole offerte di fondi finanziari ‘speculativi’ per l’intero asset”.
Le tre sigle segnalano che “con grande dignità è emersa ovunque la volontà di riscatto e di voler riprendere la mobilitazione per discutere del proprio futuro e del futuro degli stabilimenti. È emersa la volontà di affermare chiaramente che non è con le indiscrezioni sulla stampa e le dichiarazioni dei ministri che si risolverà la vertenza sulla pelle dei lavoratori”.
Ma soprattutto è emerso che “non verrà accettato lo spezzatino del gruppo: il capitale pubblico dovrà impegnarsi nell’azienda per garantire la transizione e i livelli occupazionali. Non verranno accettate speculazioni sui territori né sulle attività siderurgiche o collocazioni a tempo indeterminato in cassa integrazione”.
La cassa integrazione straordinaria
Cresce il numero degli addetti coinvolti dagli ammortizzatori sociali. I commissari straordinari hanno chiesto di passare dagli attuali 3.062 a 4.450 lavoratori (di cui 3.803 a Taranto), quindi con un incremento del 50 per cento. E il ministero del Lavoro, malgrado l’opposizione dei sindacati che chiedevano un incontro sul tema, il 30 settembre ha autorizzato l’avvio della procedura.
“Dopo le numerose richieste di rinvio della discussione sulla cassa integrazione per mettere nelle condizioni sindacati e lavoratori di avere gli elementi necessari, il ministero decide di chiudere la procedura dando facoltà all’azienda di proseguire unilateralmente”. Così i segretari generali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil (Michele De Palma, Ferdinando Uliano e Rocco Palombella), ritenendo “inaccettabile quest’azione inedita e gravissima del ministero”.
La cessione
Il secondo bando si è chiuso il 26 settembre con dieci offerte, ma solo due prevedono l’acquisizione dell’intero gruppo (le altre otto riguardano singoli asset). Sotto esame è soprattutto la proposta del fondo americano Bedrock Industries, perché l’altra, quella della cordata di Flacks Group e Steel Business Europe, sarebbe ritenuta più una manifestazione di interesse che una vera e propria offerta.
La proposta di Bedrock Industries, secondo indiscrezioni riportate sulla stampa alla fine di settembre, prevederebbe appena 2 mila occupati a Taranto e poco più di mille negli altri siti (su circa 10 mila lavoratori totali).
“Condanniamo fermamente – hanno detto i segretari generali De Palma, Uliano e Palombella – l’aver appreso a mezzo stampa dei contenuti delle offerte presentate per l’acquisto dell’ex Ilva, in particolare quella di Bedrock Industries”. Per i tre leader sindacali “è arrivato il momento di scelte chiare. Il governo assuma la guida della ex Ilva con un forte intervento pubblico che guidi la transizione e il rilancio di un’azienda oramai al collasso”.
La posizione del governo
L’esecutivo respinge l’ipotesi di uno smembramento dell’ex Ilva e rilancia sul progetto unitario di riconversione ambientale. “Siamo contro lo spezzatino del gruppo dell’ex Ilva", ha dichiarato giovedì 9 ottobre in Senato il ministro delle Imprese Adolfo Urso: “Il governo ha sempre lavorato a un progetto unitario, volto a preservare la continuità industriale e produttiva del sito di Taranto nel quadro di un necessario e veloce processo di riconversione ambientale”.
Urso ha smentito che l’esecutivo si accinga a creare “una bad company e una good company: non esiste alcuna scissione tra parti buone e cattive, ma una negoziazione in corso che i commissari stanno realizzando con l’obiettivo della piena decarbonizzazione e della trasformazione green degli impianti per tornare in futuro a produrre sino a sei milioni di tonnellate”.
Urso ha affermato infine che in questo scenario “pesa la gestione scellerata di ArcelorMittal (ndr. che ha gestito l’azienda fino al febbraio 2024, quando le è subentrata l'attuale amministrazione straordinaria), che ha provocato danni da stime certificate di quasi quattro miliardi di euro, lasciando in attività un solo altoforno con appena quattro giorni di autonomia”.