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L’aumento della cassa integrazione, il sostanziale fallimento del bando di vendita, la mancanza di un progetto industriale. E un governo che si ricorda di convocare i sindacati (che chiedevano un incontro da settimane) solo all’ultimo momento. Per i lavoratori, insomma, non vi è altra strada: lo sciopero nazionale. Si tiene quindi oggi (giovedì 16 ottobre) lo stop di tutti gli stabilimenti dell’ex Ilva (attualmente Acciaierie d’Italia).
"Oggi i lavoratori sono in sciopero per provare a difendere il futuro dell’acciaio, dell’occupazione e della transizione all’acciaio green nel nostro Paese”, commenta il segretario generale Fiom Cgil Michele De Palma: “Purtroppo il governo non ha ancora dato le risposte necessarie, e la risposta deve essere quella di intervenire con una soluzione pubblica di gestione degli impianti per garantire occupazione, produzione e transizione”.
Un primo obiettivo, però, è stato raggiunto. Nella serata di ieri (mercoledì 15) è arrivata la convocazione a Palazzo Chigi. “Un risultato importante – scrivono le tre sigle – ottenuto con la mobilitazione e le assemblee che si sono svolte in tutti siti del gruppo con la partecipazione dei lavoratori di Acciaierie d’Italia, Ilva in amministrazione straordinaria e dell’indotto”.
Scarpa, Fiom: “Una grande giornata di lotta”
“Dai primi dati che stiamo ottenendo da tutti gli stabilimenti, oggi è una grande giornata di lotta: lo sciopero è assolutamente riuscito”. A dirlo è il responsabile nazionale siderurgia Fiom Cgil Loris Scarpa: “Ieri abbiamo ottenuto un primo risultato. Il governo ha accettato di convocarci, ma subito noi abbiamo dichiarato che la mobilitazione continua, non ci fermiamo, perché il governo oltre a convocarci doveva discutere con noi i nostri contenuti e ciò che chiediamo”.
Scarpa ritiene “inaccettabile come hanno deciso di dare mano libera ai commissari rispetto alla cassa integrazione. Inoltre, bisogna iniziare a prendere decisioni rispetto all'intervento pubblico, a costituire questa società che garantisca la transizione e garantisca l'occupazione. Non c'è alternativa: i bandi sono andati deserti, non c'è un interesse privato”.
Corteo a Taranto, assemblea a Genova
“Adesso parlano i lavoratori, il futuro vogliamo deciderlo noi. Lottiamo per un intervento pubblico che sia garante della transizione”: questa la scritta sullo striscione che guida il corteo di Taranto, che dalla portineria del sito industriale si conclude a Palazzo di città (ossia il Municipio). “Se è uno stabilimento di interesse nazionale, il ministro Urso deve dimostrarlo con i fatti”, spiegano i manifestanti: “Deve presentare un piano industriale, nazionalizzare la fabbrica o rilanciare questo stabilimento. Altrimenti ammetta che il suo progetto è fallito. Non è la cassa integrazione la soluzione ai problemi di questa fabbrica”.
'"Continuiamo a sostenere un'assunzione di responsabilità diretta dello Stato, una gestione pubblica a fronte delle ingenti risorse già impegnate e degli investimenti ancora da fare rispetto agli impianti, ai processi irreversibili e prioritari di transizione energetica, agli interventi di natura ambientale”. A dirlo è la segretaria generale Cgil Puglia Gigia Bucci: “Il governo non si nasconda dietro eventuali privati interessati, compia scelte di politica industriale e agisca da subito con strategie che siano orientate alla tutela di produzione e occupati”.
Bucci evidenzia che “le proposte sul tavolo del governo sono orientate a uno spezzatino delle attività, che non dà alcuna garanzia di tenuta complessiva del polo siderurgico e degli occupati diretti e indiretti. Gli unici responsabili rispetto alle sorti del polo produttivo e della tutela occupazionale sono i lavoratori, costretti ancora una volta a scioperare, a rimetterci di tasca propria, come se non bastassero tutti i sacrifici già fatti, per richiamare il governo a scelte oculate e definitive rispetto alle sorti del siderurgico a Taranto".
Assemblea dei lavoratori anche davanti alla portineria dell’impianto di Genova Cornigliano. “A Taranto è attivo solo un forno con gravi conseguenze sul sito industriale genovese”, dichiara il segretario generale Fiom Cgil Genova Stefano Bonazzi: “L’ex Ilva non è mai stata così vicina alla chiusura. Con lo sciopero di oggi i lavoratori ribadiscono con forza e determinazione che non sono disponibili a perdere nemmeno un centesimo o un posto di lavoro. L’adesione del 100 per cento dei lavoratori genovesi lo dimostra. Al governo chiediamo di intervenire direttamente per dare un futuro alla siderurgia in questo Paese”.
Le ragioni dello sciopero
Le motivazioni che hanno spinto i sindacati a dichiarare lo sciopero nazionale, però, sono ancora tutte lì. Fiom, Fim e Uilm chiedono “un progetto industriale che garantisca la realizzazione della decarbonizzazione della produzione, l’ambientalizzazione e il ripristino di luoghi di lavoro sicuri e dignitosi”, nonché “l’intervento pubblico che garantisca tutta l’occupazione”.
I sindacati esprimono anche la loro “contrarietà a una cassa integrazione senza una chiara prospettiva” e chiedono “il mantenimento dell’integrità del gruppo”, esprimendo un secco “no allo spezzatino societario”. Infine, sollecitano “l’apertura di un confronto che affronti la complessità delle questioni sociali e che individui un quadro di strumenti che diano risposte ai lavoratori, per il pregresso e per il futuro”.
Fiom, Fim, Uilm Taranto: “Basta con la demagogia”
“I lavoratori hanno pagato il prezzo più alto in 13 anni di vergognosa e irrisolta vertenza”. A dirlo sono Fiom, Fim e Uilm di Taranto nel documento che hanno consegnato oggi al sindaco Piero Bitetti, nel corso di un incontro: “I lavoratori pretendono dalle istituzioni, tutte, che si metta fine alle propagande elettorali e si faccia fronte comune su obiettivi chiari per garantire una giusta transizione ecologica e sociale”.
I sindacati rilevano che “le offerte vincolanti dei due fondi finanziari statunitensi sono la chiara dimostrazione di come sia stato del tutto sbagliato accelerare sulla vendita dell’ex Ilva in assenza soprattutto del compimento del piano di ripartenza. Pertanto crediamo sia indispensabile che il governo si assuma la responsabilità di avviare da subito una dismissione graduale degli impianti inquinanti e la loro riconversione, al fine di traguardare un processo di decarbonizzazione attraverso un forte intervento pubblico”.
Per Fiom, Fim e Uilm tarantine “serve un piano industriale che preveda tempi certi, che sia sostenibile tecnologicamente e finanziariamente e che definisca le responsabilità necessarie a finalizzarlo”. Ma è anche necessaria una “negoziazione volta a tutelare i lavoratori attraverso tutti gli strumenti necessari, anche di carattere straordinario, che possano dare risposte al problema occupazionale”.
Le tre sigle così concludono: “In una città alimentata da divisioni abbiamo il dovere di avere la maturità necessaria per agire come comunità. Per farlo bisogna mettere subito fine alla demagogia e affrontare con serietà e corresponsabilità una vergognosa vicenda che continua a tenere in ostaggio il futuro di un intero territorio stremato da cassa integrazione e disoccupazione”.
Sindacati nazionali: “No allo spezzatino del gruppo”
Fiom, Fim e Uilm rilevano che dalle assemblee, cui hanno partecipato anche i lavoratori dell’indotto, è emersa “la piena consapevolezza della gravità della situazione: l’incertezza sulla continuità produttiva e l’incognita sulla cessione del gruppo, dopo aver appreso, a mezzo stampa, le sole offerte di fondi finanziari ‘speculativi’ per l’intero asset”.
Le tre sigle segnalano che “con grande dignità è emersa ovunque la volontà di riscatto e di voler riprendere la mobilitazione per discutere del proprio futuro e del futuro degli stabilimenti. È emersa la volontà di affermare chiaramente che non è con le indiscrezioni sulla stampa e le dichiarazioni dei ministri che si risolverà la vertenza sulla pelle dei lavoratori”.
Ma soprattutto è emerso che “non verrà accettato lo spezzatino del gruppo: il capitale pubblico dovrà impegnarsi nell’azienda per garantire la transizione e i livelli occupazionali. Non verranno accettate speculazioni sui territori né sulle attività siderurgiche o collocazioni a tempo indeterminato in cassa integrazione”.
La cassa integrazione straordinaria
Cresce il numero degli addetti coinvolti dagli ammortizzatori sociali. I commissari straordinari hanno chiesto di passare dagli attuali 3.062 a 4.450 lavoratori (di cui 3.803 a Taranto), quindi con un incremento del 50 per cento. E il ministero del Lavoro, malgrado l’opposizione dei sindacati che chiedevano un incontro sul tema, il 30 settembre ha autorizzato l’avvio della procedura.
“Dopo le numerose richieste di rinvio della discussione sulla cassa integrazione per mettere nelle condizioni sindacati e lavoratori di avere gli elementi necessari, il ministero decide di chiudere la procedura dando facoltà all’azienda di proseguire unilateralmente”. Così i segretari generali di Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil (Michele De Palma, Ferdinando Uliano e Rocco Palombella), ritenendo “inaccettabile quest’azione inedita e gravissima del ministero”.
La cessione
Il secondo bando si è chiuso il 26 settembre con dieci offerte, ma solo due prevedono l’acquisizione dell’intero gruppo (le altre otto riguardano singoli asset). Sotto esame è soprattutto la proposta del fondo americano Bedrock Industries, perché l’altra, quella della cordata di Flacks Group e Steel Business Europe, sarebbe ritenuta più una manifestazione di interesse che una vera e propria offerta.
La proposta di Bedrock Industries, secondo indiscrezioni riportate sulla stampa alla fine di settembre, prevederebbe appena 2 mila occupati a Taranto e poco più di mille negli altri siti (su circa 10 mila lavoratori totali).
“Condanniamo fermamente – hanno detto i segretari generali De Palma, Uliano e Palombella – l’aver appreso a mezzo stampa dei contenuti delle offerte presentate per l’acquisto dell’ex Ilva, in particolare quella di Bedrock Industries”. Per i tre leader sindacali “è arrivato il momento di scelte chiare. Il governo assuma la guida della ex Ilva con un forte intervento pubblico che guidi la transizione e il rilancio di un’azienda oramai al collasso”.
La posizione del governo
L’esecutivo respinge l’ipotesi di uno smembramento dell’ex Ilva e rilancia sul progetto unitario di riconversione ambientale. “Siamo contro lo spezzatino del gruppo dell’ex Ilva", ha dichiarato giovedì 9 ottobre in Senato il ministro delle Imprese Adolfo Urso: “Il governo ha sempre lavorato a un progetto unitario, volto a preservare la continuità industriale e produttiva del sito di Taranto nel quadro di un necessario e veloce processo di riconversione ambientale”.
Urso ha smentito che l’esecutivo si accinga a creare “una bad company e una good company: non esiste alcuna scissione tra parti buone e cattive, ma una negoziazione in corso che i commissari stanno realizzando con l’obiettivo della piena decarbonizzazione e della trasformazione green degli impianti per tornare in futuro a produrre sino a sei milioni di tonnellate”.
Urso ha affermato infine che in questo scenario “pesa la gestione scellerata di ArcelorMittal (ndr. che ha gestito l’azienda fino al febbraio 2024, quando le è subentrata l'attuale amministrazione straordinaria), che ha provocato danni da stime certificate di quasi quattro miliardi di euro, lasciando in attività un solo altoforno con appena quattro giorni di autonomia”.


























