PHOTO
Sono iniziate lunedì 7 nel sito di Racconigi (Cuneo) e mercoledì 8 ottobre negli stabilimenti di Genova e Novi Ligure (Alessandria) le assemblee dei lavoratori di Acciaierie d’Italia (ex Ilva) in vista dello sciopero nazionale di giovedì 16 ottobre.
Mercoledì 8 a Taranto si è riunito anche il Consiglio di fabbrica, allargato alle confederazioni e alle rappresentanze intercategoriali dell’indotto del territorio. Nei prossimi giorni Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil terranno assemblee negli impianti lombardi, veneti e campani. Da lunedì 13, infine, partiranno le assemblee presso il sito di Taranto che si concluderanno il 15 ottobre.
La protesta nasce dal “silenzio del governo rispetto alle richieste sindacali per la riconvocazione del tavolo di crisi presso la presidenza del Consiglio dei ministri e come risposta al grave atto unilaterale, da parte del ministero del Lavoro, sulla concessione della cassa integrazione straordinaria di lunedì 29 settembre che ha autorizzato l’incremento del 50 per cento delle unità in cigs da 3.062 a 4.450, senza accordo da parte sindacale”.
Sindacati: “Né spezzatino né speculazioni finanziarie”
“Le assemblee che si sono già svolte, molto partecipate, hanno visto le lavoratrici e i lavoratori diretti e dell’indotto protagonisti della discussione”, scrivono Fiom, Fim e Uilm: “È emersa la piena consapevolezza della gravità della situazione: l’incertezza sulla continuità produttiva e l’incognita sulla cessione del gruppo dopo aver appreso, a mezzo stampa, le sole offerte di fondi finanziari ‘speculativi’ per l’intero asset”.
Le tre sigle segnalano che “con grande dignità è emersa ovunque la volontà di riscatto e di voler riprendere la mobilitazione per riavere il tavolo a Palazzo Chigi e discutere del proprio futuro e del futuro degli stabilimenti. È emersa la volontà di affermare chiaramente che non è con le indiscrezioni sulla stampa e le dichiarazioni dei ministri che si risolverà la vertenza sulla pelle dei lavoratori”.
Ma soprattutto è emerso che “non verrà accettato lo spezzatino del gruppo: il capitale pubblico dovrà impegnarsi nell’azienda per garantire la transizione e i livelli occupazionali. Non verranno accettate speculazioni sui territori né sulle attività siderurgiche o collocazioni a tempo indeterminato in cassa integrazione”.
Lavoratori e sindacati, infine, sono consapevoli che “senza un tavolo di trattativa a Palazzo Chigi non potranno risolversi nemmeno le questioni relative ai lavoratori di Ilva in amministrazione straordinaria e indotto, esigenze di formazione, di ricollocazione e di poter reinventarsi professionalmente rispetto alle attività siderurgiche”.
Governo, Urso: “Lavoriamo a progetto unitario”
Il governo respinge l’ipotesi di uno smembramento dell’ex Ilva e rilancia sul progetto unitario di riconversione ambientale. “Siamo contro lo spezzatino del gruppo dell’ex Ilva", ha dichiarato giovedì 9 ottobre il ministro delle Imprese Adolfo Urso, rispondendo in Senato a un’interrogazione: “Il governo ha sempre lavorato a un progetto unitario, volto a preservare la continuità industriale e produttiva del sito di Taranto nel quadro di un necessario e veloce processo di riconversione ambientale”.
Urso ha smentito che l’esecutivo si accinga a creare “una bad company e una good company: non esiste alcuna scissione tra parti buone e cattive, ma una negoziazione in corso che i commissari stanno realizzando con l'obiettivo della piena decarbonizzazione e della trasformazione green degli impianti per tornare in futuro a produrre sino a sei milioni di tonnellate”.
Urso ha affermato inoltre che in questo scenario, di per sé delicato, “pesa la gestione scellerata di ArcelorMittal (ndr. che ha gestito l’azienda fino al febbraio 2024, quando le è subentrata l'attuale amministrazione straordinaria), che ha provocato danni da stime certificate di quasi quattro miliardi di euro, lasciando in attività un solo altoforno con appena quattro giorni di autonomia”.
Infine, poi la questione della cessione. Il bando per la vendita di Acciaierie d’Italia si è chiuso con dieci offerte, ma solo due riguardano l’acquisizione dell’intero gruppo. In particolare, la proposta di Bedrock (l’altra è di Flacks Group-Steel Business Europe) prevederebbe appena 2 mila occupati a Taranto e poco più di mille negli altri siti (su circa 10 mila lavoratori totali), quindi 7 mila esuberi.