Le multinazionali del food delivery sono come il gigante Golia. Arrivate in Italia, per rispondere a una nuova esigenza hanno inventato un nuovo segmento produttivo, e per farlo hanno creato un nuovo modello di organizzazione del lavoro. Forti della posizione dominante, hanno reclutato lavoratori alle loro condizioni, in spregio delle leggi. Tanto sono giganti, mentre i rider sono piccoli Davide, senza tutele, senza diritti, senza salario certo. Ma questi colossi sono solo in apparenza terribili e invincibili: i giudici di tutta Italia stanno censurando le loro pratiche, adottate in violazione delle regole. E ogni sentenza è come una pietra.

I diritti nei tribunali

“I tanti pronunciamenti dei tribunali dal 2000 a oggi, spesso ottenuti a seguito di ricorsi promossi dai sindacati, rendono evidente una cosa: le aziende che operano su piattaforma digitale non possono sfuggire al quadro regolatorio del nostro ordinamento né alla definizione di relazioni industriali – afferma Nicola Marongiu, area contrattazione, politiche industriali e del lavoro della Cgil -. Mi riferisco alla sentenza che impone la trasparenza degli algoritmi, a quella che ha dichiarato illegittimo il contratto sottoscritto da Ugl e Assodelivery, a quella che ha revocato i licenziamenti considerati illegittimi. Questa è la forza del nostro sistema: è il modello organizzativo che si deve adeguare alle regole, e non il contrario”.

In Italia come in Europa

Le piattaforme tentano di aggirare la normativa e di eludere il rapporto con il sindacato, non solo in Italia: il loro comportamento è comune in tutti i Paesi europei. La Spagna è dovuta intervenire con una legge ad hoc, Francia, Svezia e Belgio hanno preso provvedimenti in specifiche situazioni. Intanto anche l’Europa si è mossa avviando un percorso legislativo comunitario che potrebbe portare alla definitiva approvazione di una direttiva sul lavoro su piattaforma. Ma il compromesso è ancora lontano dall’essere raggiunto e probabilmente sarà al ribasso.

Proposta di direttiva

Il tema principale della direttiva è l’inquadramento dei lavoratori della gig economy, oggi trattati come autonomi, quindi senza nessun tipo di tutela, dai contributi alla malattia agli infortuni, fino a un compenso certo e dignitoso. Per migliorarne le condizioni, uno degli ultimi tasselli dell’azione che la commissione Von Der Layen ha messo in campo nell’implementazione del pilastro europeo dei diritti sociali, la proposta originaria di direttiva prevedeva la presunzione generale di subordinazione del rapporto di lavoro, che può essere vinta solo le aziende forniscono la prova contraria.

Trilogo, accordo difficile

Poi è intervenuto un accordo peggiorativo tra i ministri dei 27 Paesi membri su una posizione comune da tenere nelle trattative con la commissione e il parlamento: i rider si presumono dipendenti a patto che rispettino almeno tre dei sette criteri individuati, che però sono facilmente aggirabili.

“Siamo nella fase del Trilogo tra parlamento, commissione e consiglio che proveranno a comporre posizioni di partenza molto diverse – precisa Marongiu - . Il sindacato europeo ha proposto di mantenere la presunzione generale di subordinazione, che le aziende possono confutare presentando all’ispettorato o agli organismi preposti gli elementi di funzionamento della piattaforma e il ricorso al lavoro autonomo genuino. Certo è che il consiglio vuole indebolire questo processo”.

Algoritmi senza segreti

Ci sono però norme europee che calate nelle realtà nazionali hanno funzionato. Come è successo per il pronunciamento del tribunale di Palermo del 20 giugno scorso, al temine di un processo per condotta antisindacale promosso da Filcams, Nidil e Filt Cgil: la multinazionale Glovo è tenuta a svelare la logica e i meccanismi di selezione con i quali opera Jarvis, l’algoritmo che distribuisce le consegne sulla app. Una maggiore trasparenza (non c’è segreto industriale che tenga, ha affermato il giudice) consentirà di azzerare le discriminazioni nell'assegnazione di turni e ordini ai singoli fattorini.

Una sentenza innovativa che ha seguito quella su Uber Eats, condannata sempre a Palermo a comunicare ai sindacati le informazioni sull’utilizzo di sistemi decisionali o di monitoraggio automatizzati.

Cgil batte Ugl

Nel novero delle sentenze storiche, c’è quella di Firenze che nel novembre 2021 su ricorso della Cgil ha dichiarato inefficaci i licenziamenti operati da Deliveroo e ha imposto al colosso di avviare le procedure di consultazione e confronto previste dall’articolo 6 del contratto nazionale del terziario. L’azienda è stata condannata a non dare ulteriore attuazione al contratto siglato da Ugl e Assodelivery, permettendo così a tutti i rider di Firenze di reclamare l’applicazione delle condizioni previste dalla contrattazione collettiva delle organizzazioni rappresentative.

Frank, sistema discriminatorio

E come non citare la bocciatura ricevuta all’algoritmo Frank, usato da Deliveroo per valutare i rider e penalizzarli se si assentavano dal turno per scioperare o non potevano lavorare perché malato. È discriminatorio, ha sentenziato il tribunale di Bologna, che ha messo per la prima volta in Europa in discussione il sistema di ranking del colosso britannico, accogliendo il ricorso di Nidil, Filcams e Filt Cgil.

Poi c’è la sentenza del tribunale di Milano che a ottobre scorso ha imposto a Deliveroo e Uber Eats di versare all’Inps milioni di euro di contributi per 28 mila rider in tutta Italia, per il lavoro svolto dal 2016 al 2020. Una nuova tappa della maxi indagine avviata a livello nazionale dalla procura meneghina, che ha messo sotto la lente la posizione di oltre 60 mila fattorini delle principali piattaforme di food delivery, dopo diversi incidenti stradali durante il lockdown.

La stagione del confronto

“L’insieme di queste sentenze rende evidente che le multinazionali non possono più sottrarsi né alla regolazione né alla contrattazione collettiva – conclude Marongiu -. E che è arrivato il momento per loro di adeguarsi alla legislazione nazionale e aprire una stagione di confronto con il sindacato. Questo è un appello che ci sentiamo di fare. D’altronde lo ha affermato lo stesso giudice di Palermo nell’ultima sentenza del 20 novembre scorso, che ha invitato Glovo a definire un piano d’azione per rimuovere gli effetti delle discriminazioni dell’algoritmo dopo essersi confrontata con le organizzazioni sindacali ricorrenti, aprendo così a un percorso di relazioni sindacali”.