Tutti a parlare di maternità. Ma senza pensare alle madri. E mentre il governo sbandiera a gran voce il nuovo bonus mamme, migliaia di famiglie tartassano di chiamate senza risposta il centralino dell’Inps per capire che fine abbia fatto il bonus nido. Basterebbe già questo gigantesco controsenso per spiegare perché in Italia le donne che scelgono di fare un figlio non sono solo delle donne. Sono delle eroine. I numeri dell'ultimo rapporto Le Equilibriste - La maternità in Italia 2024 di Save the Children parlano chiaro: Non è un Paese per Madri, per citare il titolo di un libro di Alessandra Minello, curatrice dell’indagine. I nuovi dati non fanno che confermare un trend sempre in negativo: calo della natalità, dimissioni in bianco, regioni poco family friendly, part-time involontario. E su quest’ultimo bisognerebbe fare molta attenzione e chiedersi se decidere di lavorare meno per stare con i propri figli possa essere considerata in qualche caso una libera scelta. La domanda è se esista per le donne un part-time che possa definirsi volontario. 

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OCCUPAZIONE FEMMINILE IN CALO

Il tasso di occupazione femminile nel 2023 è stato del 52,5%, contro una media europea del 65,8. In particolare, tra le donne tra i 25 e i 54 anni l’occupazione di quelle senza figli raggiunge il 68,7%, mentre crolla al 57 tra quelle che ne hanno due o più minori. La situazione peggiora al Sud, dove l’occupazione per le donne che hanno due o più figli minori precipita al 40%. Nel 2022 ci sono state in tutto 61 mila dimissioni volontarie per genitori di figli in età 0-3. Il 72,8% sono state donne, per l’impossibilità di conciliare il lavoro e il carico di cura.

Ghiglione (Cgil): “Il governo colpevolizza le donne”

Anche il rapporto di Save the children “conferma ciò che stiamo denunciando da mesi. La narrazione distorta del governo sul calo delle nascite e la continua retorica sulla maternità (anziché parlare di genitiorialità), che tende a colpevolizzare le donne, non tiene conto delle reali emergenze e necessità”, questo il commento della segretaria confederale della Cgil Lara Ghiglione.

La dirigente sindacale sottolinea come da tempo la Cgil chiede “investimenti mirati per la buona occupazione delle donne, stabile e adeguatamente retribuita, servizi pubblici a sostegno della genitorialità e delle responsabilità famigliari, il congedo di paternità paritario che riteniamo l'unica misura che può concretamente rispondere alla condivisione dell'attività di cura e far venire meno quelle discriminazioni che colpiscono le donne nel momento dell'accesso al lavoro e nei percorsi di carriera. Una donna su cinque che rinuncia al lavoro dopo la maternità è una sconfitta del Paese”. E i quattro quesiti referendari che l’organizzazione ha messo in campo per la dignità del lavoro “parlano soprattutto a donne e giovani, i più penalizzati nel mercato del lavoro”.

UNA QUESTIONE DI CULTURA

“Viene da chiedersi se le soluzioni le ritroviamo nelle politiche per la genitorialità  (quindi non solo delle mamme) delle quali avrebbe bisogno questo Paese – scrive Giorgia D’Errico, direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children – nella premessa al rapporto – o nella cultura più generale che si sussegue da alcune generazioni, dove il lavoro di cura grava molto sulla figura femminile della famiglia. Questo perché spesso la donna è anche quella che a parità di esperienza, competenze e formazione, guadagna di meno”.

Se la maternità è un’opportunità per tutta la società, la cura di un nuovo nato o di una nuova nata non sembra ancora essere un dovere di cui la società tutta si fa carico. A mancare non sono solo politiche pubbliche efficaci e servizi per l’infanzia e per l’adolescenza adeguati (sia per quantità che per qualità). Manca una nuova cultura del lavoro che permetta a donne e uomini che diventano genitori di prendersi lo spazio e il tempo per esserlo. Senza dovere, sin dai primi mesi di vita del proprio figlio, delegare la cura dello stesso alle tate, ai nonni (se e quando ci sono) ai nidi (troppo spesso privati, perché i pubblici non sono sufficienti a coprire le richieste).

LAVORARE O NON LAVORARE?

Come può una donna che diventa madre vivere serenamente questa esperienza, se nel 2024 deve ancora scegliere tra famiglia e carriera? Se il congedo di maternità obbligatorio è fermo a cinque mesi e quello facoltativo è retribuito al 30%? Se il mercato del lavoro ti vuole in ufficio fino alle 18.00 anche se a casa hai un neonato che ti aspetta? E se, infine, in una società che si riempie la bocca dell’espressione “genitorialità condivisa” il padre ha a disposizione solo dieci giorni di congedo dopo la nascita?

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IL FERTILITY GAP

Mentre la natalità continua a diminuire, aumenta l’età delle madri alla nascita dei figli. Per l'intera popolazione femminile residente, l'età media al momento del parto è di 32,5 anni. In Europa l’Italia è tra i paesi con la più alta percentuale di primi nati da mamme over 40 (8,9 %), preceduta solo dalla Spagna. Le ultime stime Istat, infine, dicono che tra le donne nate negli anni ‘80, quindi vicine alla fine della loro fase riproduttiva, ben un quarto siano senza figli.

Mentre sono sempre di più le coppie che li cercano senza riuscirci. “Affrontare il tema della bassa fecondità – si legge nel rapporto – richiede anche una riflessione approfondita sulle motivazioni che rendono l'Italia uno dei paesi con il più ampio fertility-gap, cioè la discrepanza tra il desiderio di avere un certo numero di figli e la concretizzazione dell'esperienza genitoriale”. Il contesto sociale e lavorativo sono ostili, e spostano sempre più in avanti il momento in cui si decide di mettere al mondo un bambino. E alla fine diventa troppo tardi. Biologia e sociologia non vanno nella stessa direzione.