Di Paole ce ne sono tante nelle nostre campagne. In quelle del Sud, della Puglia, nella zona di Andria in particolare, hanno il volto proprio di Paola, sono braccianti agricole. Uomini e donne, italiane e straniere, che si alzano al mattino prestissimo per raggiungere il posto di lavoro e spezzarsi la schiena per raccogliere gli ortaggi e la frutta che arrivano sulle nostre tavole, tutti i giorni per una paga da fame.
Per ricordare Paola Clemente, uccisa dalla fatica il 13 luglio di dieci anni fa, e per tutte le Paole sfruttate che lavorano a pochi chilometri dalla Puglia modaiola, la Flai Cgil ha promosso un murale dello street artist Jorit, inaugurato oggi pomeriggio (14 luglio) ad Andria a Largo Grotte. Realizzato sulla parete esterna degli uffici comunali, ritrae il volto della lavoratrice a fianco di una rappresentazione del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo.
Restituire dignità e memoria
“Volevamo restituire memoria e dignità alla figura di Paola Clemente – spiega Giovanni Mininni, segretario generale della Flai Cgil, presente alla cerimonia di inaugurazione insieme a Stefano Arcuri, marito di Paola, Gigia Bucci, segretaria generale Cgil Puglia, Giovanna Bruno, sindaca di Andria e Jorit -. Per questo abbiamo pensato di trasformare un luogo pubblico in uno spazio di riflessione, di denuncia sociale e di riscatto. La sua vicenda ha reso possibile l’approvazione di una legge che è considerata un modello in Europa e nel mondo nel contrasto allo sfruttamento sul lavoro. Ma dopo dieci anni ancora non viene pienamente applicata, in particolare la parte dedicata alla prevenzione”.
Madre, moglie, bracciante
Paola era una madre, una moglie, un’operaia. Era impiegata nell’acinellatura dell’uva. Come ogni lunedì, quel 13 luglio del 2015 era uscita di casa a San Giorgio Jonico, in provincia di Taranto, alle 2 di notte, aveva preso un pullman alle 3 e ai campi, ad Andria, ci era arrivata intorno alle 5.30, dopo un viaggio di 150 chilometri. Guadagnava 27 euro al giorno per sei ore di lavoro, almeno sulla carta perché di ore non ne faceva mai meno di otto. Una somma misera, che però era importante per la sua famiglia.
Stroncata da un malore
Paola è morta stroncata da un malore, da sola in mezzo ai campi. È stata sepolta il giorno dopo senza neppure autopsia, con il nulla osta del magistrato di turno: secondo il medico legale si era trattato di morte naturale.
In realtà è morta di fatica e di sfruttamento, vessata da un moderno caporalato celato tra agenzie interinali e società specializzate nel trasporto, da ritmi di lavoro vessatori, spossata dal caldo, prima delle ordinanze che oggi obbligano a sospendere le attività nelle ore torride.
Morta perché era un tassello di un modello agricolo basato sulla compressione dei costi, dove il lavoro è solo una voce da ridurre.
Le indagini della magistratura
La sua morte sarebbe stata archiviata per “cause naturali” senza le denunce della famiglia sostenute dalla Flai Cgil e senza le ricostruzioni e le testimonianze delle colleghe che hanno portato alle indagini della magistratura.
“Paola è morta nell’assordante silenzio delle campagne pugliesi - denuncerà poi il sindacato -. Lo stesso silenzio, spesso vicino all’omertà, che circonda le oltre 40 mila donne italiane vittime del caporalato, trasportate con gli autobus su e giù per tutta la regione, dalla provincia di Taranto alle campagne del Nord della Puglia”.
Dalle coscienze alle legge 199
La sua morte non finisce nel dimenticatoio, in un breve trafiletto in cronaca locale. Perché è donna e perché è italiana, diventa una notizia nazionale. Scuote le coscienze, fa aprire gli occhi, sbatte in faccia la realtà: lo sfruttamento colpisce tutti indistintamente, uomini e donne, italiani e stranieri.
La sua scomparsa dà impulso per sbloccare in Parlamento la legge sul caporalato, la 199 approvata nell'ottobre del 2016. Quella che tuttora per il sindacato non è del tutto applicata. “Il volto di Paola e quello dei lavoratori del Quarto Stato, il presente e il passato della lotta bracciantile, ci ricordano l’urgenza di rendere operativa quella norma – conclude Mininni, della Flai Cgil -, e di riunire il mondo del lavoro per combattere ogni forma di sfruttamento, vessazioni e illegalità in agricoltura, fenomeni ancora troppo diffusi nelle campagne italiane”.
Senza giustizia
Qualche anno dopo la Regione Puglia ha emanato un'ordinanza, da allora riproposta ogni anno ed estesa ad altre categorie e attività, che vieta il lavoro nei mesi estivi nelle ore calde.
Paola, intanto, non ha avuto giustizia nelle aule di tribunale, né il riconoscimento dell’infortunio dall’Inail. La sua storia è raccontata in un podcast “Paola. Ricordare non basta”, scritto da Susanna Bucci e Paolo Butturini, letto da Francesca De Martini e prodotto da Akuo e Flai Cgil, in collaborazione con Il Fatto Quotidiano, disponibile sulle principali piattaforme.