L’Italia ha firmato l’accordo Nato che prevede la crescita della spesa militare sino al 5% del Pil. Una quota enorme che il governo di Giorgia Meloni dovrà drenare dalle casse dello Stato o reperire con la prossima legge di Bilancio.

Giulio Marcon, esponente della campagna Ferma il riarmo e portavoce di Sbilanciamoci! (che ogni anno propone la contro-finanziaria), ci ricorda che “questi accordi si sovrappongono in parte con l'impegno preso a livello europeo, anche se il programma dell’Europa dura anni, mentre l'impegno con la Nato è di 10 anni. Un accordo che non consiste in un obbligo giuridico, ma è un'indicazione politica, tanto è vero che la Spagna si è parzialmente smarcata”.

Inoltre l’impegno per 10 anni può essere ‘spalmato’, come accade per molti impegni pluriennali che sono nella legge di Bilancio: “Si può, ad esempio, stabilire una quota da qui al 2030 e poi negli ultimi anni spendere tutta la quota prevista – afferma Marcon -. Si tende quindi a prorogare gli impegni gravosi agli ultimi anni e questo serve per capire che cosa succederà a partire dalla prossima legge di Bilancio, che potrebbe anche ‘stanziare’ poco quest'anno e prevedere nei prossimi anni un aumento progressivo”.

Cifra da capogiro

In questo 5% il governo può mettere voci diverse, gli impegni per i sistemi d'arma come quelli per le infrastrutture (vedi la notizia circolata secondo la quale potrebbe essere inserito anche il ponte sullo Stretto di Messina, ndr). Ad esempio per dimostrare che arrivano all’attuale 2% quest'anno hanno inserito le spese per la Guardia costiera e la Guardia di Finanza, che fino a oggi non erano incluse nel comparto sicurezza. Quindi dobbiamo capire che cosa ci metteremo dentro”.

Nonostante questi distinguo, la spesa militare del 5% del Pil rappresenta una crescita enorme. “Insieme alla Rete Pace e disarmo e a Milex – prosegue il portavoce di Sbilanciamoci! -, abbiamo fatto delle stime e, benché sia da capire quale sarà ‘andamento del Pil nei prossimi anni, abbiamo calcolato che da qui al 2035 l'Italia dovrà trovare 400 miliardi di euro. Una cifra che equivale a tre volte la spesa per il servizio sanitario pubblico.

La presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha detto di avere trovato un accordo con il segretario generale della Nato, Mark Rutte, per un aumento del 3,5%, quindi una mediazione per arrivare poi al 5%: “Si tratta comunque sempre di circa 280 miliardi di euro. Un aumento abnorme. Oltretutto in 10 anni l'aumento delle spese militari in Italia è stato circa più del 60%. Quelli con la Nato e con l’Europa sono impegni che durano nel tempo, quindi una volta che firmi ti sei legato per i prossimi 10, 15, 20 anni a seconda degli investimenti che fai”.

Dove andrà a pescare le risorse il governo?

Tutto questo denaro da destinare alla spesa in armi dovrà in qualche modo essere reperito dalle casse dello Stato, che, a giudicare dai continui tagli, non versano nelle migliori condizioni. Ci sono tre possibilità, ci spiega Giulio Marcon: “La prima è che si incrementi enormemente il debito pubblico, ma in questo caso vi sono trattati europei vincolanti, benché sia sempre stata promessa elasticità.

La seconda possibilità è procedere con i tagli alla spesa pubblica, quindi con la riduzione ai trasferimenti agli enti locali, alla sanità, alla scuola. La terza è aumentare le tasse. Bisognerà attendere per capire quale scelta farà il governo con la prossima legge di Bilancio. Si naviga a vista”.

Facendo una valutazione politica, risulta assai difficile pensare che il Governo Meloni proceda con la terza possibilità, perché nel 2027 ci saranno le elezioni politiche e, si sa, il consenso si costruisce in buona parte sulla partita delle imposizioni fiscali, delle tasse. Giurare che mai si “metterà le mani nelle tasche degli italiani” è uno degli slogan che non mancano mai nelle campagne elettorali del centrodestra e viene ripetuto più e più volte in qualsiasi occasione, anche mentre si sta governando. Dopo l’accordo, infatti, Meloni si è subito premurata di dichiarare: “Le spese della Nato non toglieranno un euro agli italiani”.

Impaurire per giustificare 

“Le scelte che si stanno facendo in ambito Nato e in ambito europeo sono state comunque ben preparate “alimentando con le guerre l'insicurezza, una paura indotta anche per giustificare l’aumento delle spese militari – dice Marcon -. Sul versante americano, inoltre, con le spese militari il presidente Trump sta tentando di assicurarsi un dominio del mondo che gli Usa hanno ormai perso dal punto di vista tecnologico ed economico, perché la Cina su questi campi ha acquistato molto terreno.

Sul versante europeo, i Paesi dell’Unione dovranno fare delle scelte di politica industriale, viso il crollo di numerosi settori, come quello dell’automotive o della siderurgia. Tutto ciò fa felice l'industria militare degli Stati uniti d'America, perché i Paesi europei incrementeranno l’acquisto di armamenti dagli Usa, ma anche della componentistica per produrre ordigni e mezzi bellici. Insomma, c'è una forma di keynesismo militare che è tutto da vedere”.

La Spagna ha fatto una scelta diversa, affermando di non praticare l’impennata delle spese militari, ma assicurando nel contempo di rispettare gli obblighi con la Nato. Stessa scelta poteva essere fatta dal governo italiano, ma Giorgia Meloni si è subito premurata di dichiarare che l’accordo firmato è “sostenibile”, dimostrando così l’asservimento totale alle politiche dell’amico Donald Trump.