Ci risiamo. Quando c’è da finanziare la sanità, i fondi svaniscono. Ma se si tratta di acquistare carri armati con optional cromati, il denaro compare come in una televendita del Pentagono. Il riarmo al 5% del pil non è una strategia: è un’ossessione dispendiosa, il capriccio di chi scambia la guerra per progresso e la pace per debolezza.

Il piano è chiaro: triplicare il bilancio della Difesa tagliando tutto il resto, perché l’ordine sociale, secondo costoro, si impone coi droni. Con quella quota di prodotto interno lordo si potrebbero costruire alloggi pubblici, sostenere la ricerca o almeno asfaltare quelle buche che ci rendono imbattibili nei rally urbani. Invece si scelgono i caccia, così i pensionati possono volare via dalle liste d’attesa.

In questo cabaret bellico, l’unico a non ridere è Pedro Sánchez, che ha avuto l’ardire di rispondere alle lobby armate con un garbato ma fermo “grazie, ma anche no”. La Spagna resta al 2,1% e si tiene sanità, istruzione e un residuo di dignità. A noi, invece, resta l’onore di svettare tra gli statisti da plastico: quelli con l’elmetto in vetrina e il passo svelto alla prima sirena.

Il bello è che nessuno ha chiarito a cosa serva tutto questo. Minacce costruite, invasioni da romanzo o forse solo un modo elegante per dimostrare agli americani quanto siamo bravi a spararci sui piedi. L’Europa, come sempre, si divide tra chi riflette e chi spende. Noi, notoriamente, preferiamo la seconda opzione. Ragionare stanca, bombardare rilassa.

Del resto, cosa aspettarsi da un Paese che considera la cultura un peso e la scienza un lusso. Quando si disprezza il sapere e si etichetta l’innovazione come costo superfluo, restano solo l’acciaio e la propaganda. L’unica vera arma resta il cervello, anche se da noi lo trattano come un disertore.