Perché ti sei offerto come medico volontario per raggiungere la prima linea del fronte anti-Covid? Chi te lo ha fatto fare? “Una semplice domanda. Se fosse successo a me? Se fosse stata la mia terra ad avere bisogno di aiuto? Se fosse stato il Sud in difficoltà? Se a soffrire e a rischiare la vita su uno di quei letti ci fossero stati i miei genitori anziani o mio fratello o ci fossi stato io stesso? Se fossimo noi ad aver bisogno di cure, ma i medici fossero troppo stanchi e stressati, dopo settimane di turni infiniti. Se non ci fossero più le condizioni oggettive per operare adeguatamente? Che cosa vorrei? E chi potrebbe aiutarmi?”. 

Eccola, la solidarietà spiegata in modo che la capiscano tutti. Un concetto limpido come la voce di Gianfranco al telefono. Come il suo volto che immaginiamo, per forza, pulito. All’Italia infettata dal Coronavirus, con un pensiero positivo, il primo da settimane, vogliamo darle la voce e il volto di Gianfranco. Emotivamente esausti, vogliamo prenderci un solo articolo di respiro per accompagnare la corsa verso il Nord di questo tedoforo che, insieme ad altri ottomila colleghi, tiene alta la fiamma della solidarietà e dell’umanità. Nella notte più nera della storia della Repubblica è l’ultimo, potente barlume in grado di illuminare il nostro cammino o, quanto meno, di brillare in fondo a questo tunnel.

Sono loro, le nuove munizioni della resistenza. Gianfranco e gli altri ottomila medici che, in poco più di 24 ore, hanno risposto, senza pensarci un minuto, al bando della Protezione civile – che ne cercava appena 300 – per dare sostegno ai colleghi degli ospedali del Nord al collasso. Straordinari esempi di lealtà che, insieme ai dottori cubani, cinesi e russi, ci regalano un po’ di calore in questo marzo gelato. In questa piccola intervista, Gianfranco resterà solo Gianfranco. Non ha voluto che venissero pubblicati il suo cognome, né la sua foto. Tanta sostanza e poco clamore. Un’altra lezione da chi sul piatto della comunità ci mette la propria vita. Che la ascolti chi, da settimane, rende pubbliche le proprie donazioni milionarie alla causa.

Gianfranco è un anestesista-rianimatore. Una categoria poco conosciuta prima del ciclone Covid-19. Wikipedia ci illumina, spiegandoci che “tale figura può assumere varie funzioni, accomunate dalla salvaguardia generale della vita del paziente, quando questi si trova soprattutto in imminente pericolo di vita”. Se sei un ricoverato affetto da Coronavirus, Gianfranco è quello che può salvarti la pelle. 41 anni, specialista da 11, esperto in rianimazione e in sala operatoria, conosce ogni branca chirurgica ed è a suo agio con ogni tipo di emergenza, intra ed extra ospedaliera. Vive e lavora a Bari. La sua destinazione di volontario non la conosce ancora perché ha dato disponibilità a partire dal prossimo 30 marzo. Quel che è certo è che, per le tre settimane da volontario, lascerà un ospedale, quello in cui lavora, nel quale non ci sono reparti dedicati al Coronavirus, con cui non è quindi mai entrato in contatto. Lascerà una città in cui i positivi sono 268 – in una Regione, la Puglia, con 906 casi accertati –. E si ritroverà nell’inferno della prima linea, magari in una delle province più colpite della Lombardia, dove gli ammalati totali, ad oggi, sfiorano quota 30 mila. Un po’ come piombare in pieno Sbarco in Normandia direttamente dal campo di addestramento.

Dall’inizio dell’emergenza sono 23 le vittime tra i medici. 4.824 i contagiati tra il personale sanitario. Hai paura? “La paura in realtà ti serve per stare all’erta. Le persone che restano chiuse in casa lo fanno perché hanno paura del contagio. Questa è una cosa positiva. Io, più che altro, sono un po’ teso, sono preoccupato per la mia famiglia, ma non posso farmi prendere dalla paura. Altrimenti non riuscirei a fare bene il mio lavoro. Sto attento, ma non ho paura”.

Cosa ti aspetti di trovare? “Sono in contatto con molti colleghi con cui mi sono specializzato e che adesso lavorano negli ospedali delle città del Nord. Attraverso i loro racconti conosco la realtà che stanno affrontando. È terribile. Sono stanchissimi, sono stressati, fisicamente e, soprattutto, psicologicamente. Perché mi dicono che i pazienti che arrivano son tutti uguali, hanno tutti quanti la stessa problematica, e diventano sempre più impegnativi. All’inizio i ricoverati erano soprattutto anziani, ora sono tanti anche i giovani. Quindi mi aspetto di trovare colleghi che hanno bisogno di una mano e pazienti gravi e di tutte le età. E spero di poter alleviare la fatica dei primi e di salvare più vite possibile. Anche se solo per tre settimane, penso possa essere di aiuto e di insegnamento a tutti”. E non ti spaventa l’aspetto psicologico della questione? Tutti quei pazienti stremati dal dolore e terrorizzati al pensiero che potrebbero perdere la vita? “Ho un carattere duro, tenace. Chiunque può avere un crollo, ma so che non devo pensarci. Devo pensare che andrà tutto bene, come vi stanno dicendo da settimane. Farò di tutto, fino al limite dell’impossibile, per poter salvare vite”. 

La sua pausa è finita. Deve tornare al lavoro. “Mi raccomando”, è il nostro commiato al telefono. Abbi cura di te, riporta a casa la pelle, vorremmo aggiungere. E ancora una volta ci spiazza. “Speriamo di riuscire a risolvere, ognuno nel suo piccolo e per quello che potrà fare, questo problema”. 

In bocca al lupo, Gianfranco, e grazie per aver messo accanto al tuo moto immenso di volontà, la nostra piccola, responsabile inerzia domiciliare. Di fronte alle bassezze di queste ore, ai tanti che non vogliono sentire ragioni e pretendono di tenere aperte le proprie imprese, anche quelle che non producono beni essenziali, solo per salvaguardare il proprio profitto, rischiando di allargare il contagio ed esasperare il collasso ospedaliero, voi ottomila – e le altre centinaia di migliaia tra colleghi, operatori sanitari, appalti, lavoratori del commercio, operai e chi più ne ha più ne metta – continuate a tenere a galla il Paese. E una volta di più dobbiamo convenire con Brecht che è davvero sventurata la terra che ha bisogno di eroi.