Per i lavoratori e le lavoratrici in questa finanziaria - a leggere la bozza di ddl licenziata dal Consiglio dei ministri - non c’è praticamente nulla. Se poi andiamo a considerare il settore della scuola, scompare anche quel “praticamente”. Se, infatti, le misure che, con una buona dose di propaganda, vengono spacciate per aumenti salariali, sono in realtà ben poca cosa, come denunciato dalla Cgil, ebbene queste misure poi varranno solo per gli addetti dei settori privati. Non solo: anche le risorse stanziate per il rinnovo del contratto del comparto ricerca e istruzione (parliamo del ccnl 2022-24, è bene ricordarlo: il rinnovo, quando ci sarà, riguarderà un accordo già scaduto) sono largamente insufficienti.

Troppo poco per il contratto (già scaduto)

Cominciamo proprio da qui. Nell’ultimo incontro all’Aran del 9 ottobre le cifre sono rimaste quelle che si sapevamo: per il personale della scuola sono previsti aumenti di 136 euro lordi, ma, e questo il governo di guarda bene dal dirlo, il 60% dei quali è stato già anticipato e percepito. Tradotto in busta paga significa circa 47 euro medi lordi. A queste somme si dovrebbe aggiungere un compenso una tantum di 142 euro lordi. Si tratta di una vera e propria riduzione programmata del potere d’acquisto, visto che con questo aumento si recupera appena un terzo dell’inflazione del biennio (che è stata complessivamente del 18%).

Nei giorni scorsi, per provare ad arrivare alla chiusura del contratto, il Consiglio dei ministri avrebbe deciso lo stanziamento di ulteriori 600 milioni di euro. Anche in questo caso si tratta di una cifra che ripartita produrrà aumenti irrisori. Il calcolo lo ha fatto Tuttolavoro24.it e la conclusione è amara: “L’aumento lordo annuale per ciascun dipendente si attesta intorno ai 402,58 euro. Distribuendo questo importo su 13 mensilità (inclusa la tredicesima), si ottengono circa 30,97 euro lordi mensili pro capite. L’incremento medio mensile lordo per un docente o un Ata è di circa 30 euro. Tradotto in netto, l’aumento effettivo percepito in busta paga si ridurrà ulteriormente, probabilmente attestandosi al di sotto dei 20 euro al mese”.

Le altre misure

Il governo, come è noto, ha annunciato una serie di misure che dovrebbero contribuire a innalzare le retribuzioni: un regime fiscale agevolato sui rinnovi contrattuali, premi di produttività, aliquota agevolata al 10% su straordinario, turni festivi e notturni. Ebbene, come nota la Flc Cgil in un comunicato, queste misure, per quanto limitatissime e dagli effetti abbastanza marginali, “sarebbero state pensate solo per i settori privati, escludendo oltre 3 milioni di lavoratori pubblici”.

L’unica misura che potrebbe coinvolgere il pubblico impiego, continua la nota, “è la detassazione del salario accessorio, che è irrilevante nella busta paga delle lavoratrici e dei lavoratori dei nostri settori”. Insomma, “niente di niente per perequare le retribuzioni del comparto, che sono le più povere di tutto il lavoro pubblico, e per stabilizzare il personale precario”.

In ogni caso per la Flc Cgil “qualora i provvedimenti in questione venissero estesi anche al settore pubblico, non inciderebbero significativamente sul rinnovo contrattuale 2022-2024, a cui niente di aggiuntivo verrebbe destinato. Questa è la ragione principale per cui le trattative Aran e organizzazioni sindacali stentano a decollare”.

A questo poi, e ciò riguarda tutte le lavoratrici e i lavoratori, si aggiunge la mancata restituzione del fiscal drag, un meccanismo perverso in virtù del quale dipendenti e pensionati sono stati costretti a pagare circa 25 miliardi di tasse in più tra il 2022 e il 2024 e che la Cgil chiede, senza essere ascoltata, che vengano loro restituiti. E, naturalmente l’aumento di 3 mesi dell’età per il pensionamento (con la sola eccezione degli insegnanti di nidi e scuola dell’infanzia).

Zero investimenti

Insomma, nonostante le tante parole, per la scuola non c’è nulla. Oltre a più soldi per le retribuzioni sarebbero necessari investimenti per un piano per il progressivo azzeramento della precarietà: non bisogna dimenticare che anche quest’anno le supplenze saranno almeno a quota 250 mila, molte delle quali in una fattispecie molto particolare e cruciale che è quella del sostegno. Ma anche per investimenti in edilizia scolastica e didattica.

E poi nelle pieghe del ddl c’è una chicca: in caso di assenza nelle scuole secondarie di primo e secondo grado il dirigente scolastico deve “coprire” le cattedre senza chiamare supplenti ma utilizzando l’organico dell’autonomia fino a 10 giorni. Prima, era solo una possibilità, ora un obbligo. Invece, per sostegno e scuola primaria, il dirigente scolastico può farlo, ma non è obbligato. In sostanza, le supplenze si coprono ricorrendo a personale impegnato in progetti, come attività di recupero o potenziamento.  I risparmi andranno nel Fondo per il miglioramento dell’offerta formativa: che aumenta ma solo a condizione che non si chiamino supplenti.

Il nodo risorse

Si dirà: per gli investimenti che sarebbero necessari non ci sono risorse. In realtà le risorse ci sono, basterebbe andarle a prendere laddove si trovano. La Cgil ha chiesto l’introduzione di un contributo sulle grandi ricchezze: un’aliquota pari all’1,3% su 500 mila contribuenti sopra i 2 milioni di euro produrrebbe un gettito addizionale di 26 miliardi. Una misura di buon senso, di ispirazione neanche socialista, ma liberale. Ma, ovviamente, come sempre “apriti cielo”.

“Se dovesse essere licenziata una manovra di questa natura, le lavoratrici e i lavoratori non mancheranno di far sentire le proprie proteste, a partire dalla manifestazione nazionale promossa dalla Cgil per il prossimo 25 ottobre per dire no alle politiche di un governo che si comporta da elemosiniere”, conclude la Flc.

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