Siamo alle solite. In Italia si approva una misura straordinaria come il Superbonus 110, che dà una spinta eccezionale all’edilizia e alla riqualificazione degli edifici, si avviano i lavori, si mettono in piedi i cantieri. Si muove una grande massa d'investimenti, lavoratori, crediti.

Ma dopo diversi cambiamenti in corso d’opera, aggiustamenti e correttivi, dopo due anni di attività, il governo decide di azzerare il meccanismo con un decreto legge approvato dall’oggi al domani (l’11/2023). Varato giovedì scorso e pubblicato in Gazzetta ufficiale venerdì, il provvedimento ha avuto come effetto immediato la disdetta dei cantieri.

Azzerati 100 mila posti di lavoro

“Un blitz consumato in 24 ore, che mette a rischio 100 mila posti di lavoro e 25 mila imprese, e che colpisce allo stesso tempo l’ambiente e la messa in sicurezza degli edifici – commenta il segretario generale della Fillea Cgil, Alessandro Genovesi -. Un vero e proprio attacco al settore e al lavoro. Sapete che cosa sta succedendo queste ore, in questi minuti? Le aziende che avevano affittato ponteggi e ordinato materiali, gli amministratori di condominio che avevano chiesto preventivi, stanno revocando tutto. Il quadro generale è troppo incerto”.

Agevolazioni solo per i ricchi

La norma varata dall’esecutivo abolisce lo sconto in fattura e la cessione del credito a terzi, come le banche, affossando di fatto tutti i bonus edilizi, indipendentemente dalla percentuale. Una scelta che oltre ad avere un grave impatto sull’occupazione, penalizzerà i meno abbienti.

“Potranno accedere agli incentivi solo quelli che hanno 50-100 mila euro da anticipare per gli interventi e che nel giro di 5-10 anni hanno redditi tali da portare la cifra spesa in detrazione – precisa Genovesi -. Tutti gli altri sono esclusi. E cioè i cittadini che vivono nel 70 per cento del nostro patrimonio edile, pensionati, precari, disoccupati, partite Iva: tra questi ci sono 7,8 milioni d'incapienti, che non fanno neppure la dichiarazione dei redditi. Loro la casa efficiente, la casa salubre e sicura perché antisismica, se la scordano”.   

Un colpo all’ambiente

Quindi da adesso in poi o si anticipano i soldi, oppure non si può accedere alle agevolazioni. E dire che la maggior parte delle persone con redditi bassi vive nelle periferie, nelle case popolari o in abitazioni di qualità scadente, proprio quelle che avrebbero più bisogno di essere riqualificate perché inefficienti. 43 milioni, per la precisione, sono in abitazioni in classe energetica inferiore alla C e 50 milioni in zone ad alto rischio sismico.

Stiamo parlando di edifici che consumano tanto e inquinano altrettanto: il 35 per cento della CO2 prodotta viene da palazzi vetusti, il 30 per cento degli sprechi energetici è provocato dal patrimonio immobiliare inefficiente, con vecchie stufe e vecchi riscaldamenti. Di questo passo l’obiettivo della direttiva europea in discussione al Parlamento di portare gli edifici residenziali in classe D entro 2033 diventerà un miraggio.  

Le proposte del sindacato

“È una questione di metodo oltre che di merito – aggiunge il sindacalista-. Il governo non ci ha convocati. Se l’avesse fatto avremmo portato le nostre proposte, elaborate unitariamente con Filca Cisl e FenealUil, che sono sostenibili e di lungo periodo, finalizzate a rendere gli incentivi strutturali”. Per i sindacati di categoria, gli strumenti finanziari vanno garantiti anche per il futuro, limitandoli ai redditi più bassi, con Isee fino a 30 mila euro, ai condomini popolari e agli incapienti.

Per questi ultimi si potrebbe prevedere l’intervento della Cassa depositi e prestiti o di altri soggetti pubblici per anticipare la restante parte delle somme non coperte dai vari tipi d'incentivi, da recuperare poi attraverso i risparmi in bolletta. E per riqualificare il patrimonio dell’edilizia residenziale pubblica bisognerebbe garantire risorse e un intervento diretto, anche straordinario, da parte del pubblico.

Pronti allo sciopero

“Il governo ha convocato esclusivamente le associazioni delle imprese e delle banche e non quelle dei lavoratori – prosegue Genovesi -. Leggendo le dichiarazioni al termine dell’incontro di ieri (20 febbraio, ndr), le aziende hanno presentato delle proposte, alcune delle quali anche condivisibili, come quella su come utilizzare i crediti per pagare gli F24. Ma l’impressione è che l’esecutivo continui a balbettare. Deve cambiare rotta e aprire un tavolo con noi. Ma se vuole andare avanti da solo e lasciare tutto così come è, non staremo fermi a guardare. Come Fillea siamo pronti allo sciopero, ma stiamo ragionando con Filca Cisl e FenealUil sulle forme di protesta migliori. Possiamo perdere tutto, tranne posti di lavoro oggi e obiettivi ambientali e di sostenibilità domani”.

Il volano Superbonus

Introdotto nel 2020 dal governo Conte 2, e in seguito molto criticato e messo in discussione per i benefici che ha prodotto, il Superbonus ha certamente contribuito alla ripresa post pandemia, aumentando Pil e posti di lavoro. Stando ai dati Istat, nel secondo trimestre 2022 solo il settore delle costruzioni ha contribuito per il 16 per cento alla crescita dell’economia. Per la società di consulenza Nomisma ha generato 124,8 miliardi di euro, pari al 7,5 per cento del Pil.

Stando ai calcoli del Cresme, Centro ricerche economiche sociologiche e di mercato nell’edilizia, l’incentivo ha avuto un effetto ben maggiore: 130 miliardi di euro da quando è stato introdotto fino a ottobre scorso, con l’attivazione in due anni di 587 mila occupati, dei quali 311 mila direttamente nel settore della riqualificazione.

35 miliardi: per farne cosa?

“Il governo ha varato il decreto pensando di risparmiare 35 miliardi di euro – conclude il leader della Fillea Cgil -. Ma non ha fatto bene i conti. Di quanto speso finora, ne andrebbe contabilizzata la metà: se aggiungi l’emersione del lavoro nero, la nuova occupazione, l’indotto sui materiali e sui servizi, tutti elementi che non rientrano nella contabilità ufficiale, torna indietro il 50 per cento.  Adesso, con il decreto legge l’esecutivo conta di risparmiare 35 miliardi di euro. Mi auguro che non stiano rischiando di distruggere 100 mila posti di lavoro e rallentare le politiche di sostenibilità ambientale per comprare armi ed F16”.