Prima del Covid 19 ogni giorno, in Calabria, 23 mila persone prendevano il treno per andare a scuola o a lavoro. Ognuno dei 404 comuni della regione conta decine di frazioni, comunità montane incastonate tra le montagne della Sila, del Pollino e borghi a strapiombo su spiagge deserte d’inverno. L’Aspromonte deve il suo nome anche a quella morfologia caratteristica che taglia tutta la Calabria in due. Ma la vera montagna da scalare è l’inadeguatezza delle infrastrutture. Dal Porto di Gioia Tauro, il quarto più grande d’Europa, il trasporto delle merci verso il Nord del continente è lento è complicato. Nel resto d’Italia, per questo genere di spostamenti si utilizzano treni di 750 metri. Ma da Gioia questi mezzi non possono partire. “La Calabria è un imbuto" spiega Nino Costantino, segretario della Filt regionale, che il 14 dicembre scorso ha organizzato insieme alla Fiom l'iniziativa "Produrre i treni, investire sulle ferrovie".  I treni merci partono sulla linea tirrenica e poi, a Sibari, devono spostarsi sulla ionica, "perché la rete merci e quella passeggeri non possono essere integrate". 

L'Alta velocità arriva anche in Calabria, ma ci mette il doppio del tempo. Varcati i confini della regione deve, infatti, rallentare. Su 965  km di rete, ben 686 sono a binario unico e 480 non sono elettrificati. L'infrastruttura ferroviaria è troppo malandata per permettere ai treni di viaggiare a velocità sostenuta. "Fino a qualche tempo fa - racconta Costantino - nel tratto che passa da Scilla bisognava andare a 25 chilometri orari". 

In Calabria, più in ritardo dei treni arrivano le risorse. Il Pon Infrastrutture e Reti 2014-2020 (Piano Operativo Nazionale) aveva previsto per le regioni obiettivo la realizzazione di piattaforme e strumenti intelligenti per la mobilità.  “Ad oggi neanche un euro dei fondi stanziati è stato speso” osserva Costantino, che ricorda anche il Piano Generale dei Trasporti e della Logistica messo a punto nel 2016 dall’allora ministro delle infrastrutture Graziano Del Rio. La sua “cura del ferro” prevedeva per la Calabria 500 milioni di euro e l’ammodernamento della linea che collega Reggio Calabria a Taranto. Ma secondo la Filt è già chiaro che i lavori non termineranno, come previsto, nel 2022.

Un paradosso, se si pensa che a Reggio Calabria ha sede la Hitachi, multinazionale delle macchine per spostamenti via terra e ferroviari. Nella città sulle rive dello Stretto si costruisce il novanta per cento delle vetture ferroviarie utilizzate in tutta Europa. Tranne che in Calabria. La punta dell’Italia non è solo staccata dal resto dello stivale, ma anche poco collegata da comune a comune. Tra Cosenza e Crotone ci sono “solo” 115 chilometri di strada, ma per arrivarci in treno ci vogliono tre ore, con un cambio. Catanzaro dista da Lamezia Terme 37 chilometri, ma per raggiungere in treno l’aeroporto dal capoluogo di regione ci si impiega più di mezz’ora.

Dal resto della Calabria, l’alternativa migliore è ancora la macchina, ma anche in questo caso gli ostacoli non mancano. Sulla “Strada della morte” ogni anno perdono la vita centinaia di persone, soprattutto d’estate. La statale 106, 491 chilometri di costa Jonica da Taranto a Reggio, è così pericolosa perché ai suoi bordi non ci sono barriere. Pochi semafori, punti ciechi e incroci mortali. “Il progetto per l’ammodernamento è iniziato nel 2001 – racconta il segretario della Fillea Calabria Simone Celebre – ma siamo ostaggio di una guerra di burocrazia tra governo e regione”. A maggio del 2020, nonostante la pandemia, è partito il cantiere sui primi 38 chilometri, da Roseto Capo Spulico a Sibari. I lavori, affidati al Consorzio Sirio per un miliardo e 130 milioni, dovrebbero terminare nel 2026. “Qualcosa si muove- prosegue Celebre- ma ancora troppo lentamente. Per la nostra regione investire sulle infrastrutture significherebbe anche dare ossigeno all’occupazione”. Il solo cantiere della 106, per esempio, può impiegare fino a 2 mila persone.

Nella terra dell’incompiuto, la regina è la Salerno-Reggio Calabria. “La grande Autostrada del Mediterraneo tenuta a battesimo da Renzi non è andata molto avanti – ricorda Celebre – ogni tratto costa 5 milioni di euro”. Molti punti sono da mettere in sicurezza perché franosi, come quello tra Morano e Castrovillari o quello tra Rogliano e Altilia dove sotto l’asfalto, la terra è molle. Il tracciato non è ancora stato terminato, ma sull’autostrada i lavori sono sempre in corso, perché si procede a forza di manutenzione.

Il paese a due velocità non è solo una metafora economica, ma una realtà faticosa, che cammina su ferro e su strada.