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In acque israeliane il governo italiano non garantisce sicurezza agli equipaggi delle navi della Flotilla, dice il ministro della Difesa Guido Crosetto. La maggioranza “presenterà una mozione per il riconoscimento” che conterrà però due clausole: “l’esclusione di Hamas da qualsiasi dinamica di governo all’interno della Palestina” e “la liberazione degli ostaggi” israeliani nelle mani di Hamas, ha detto la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, definendo poi gli attivisti della Flotilla degli “irresponsabili”. Entrambi poi concordano che gli aiuti a Gaza a bordo delle suddette imbarcazioni debbano arrivare attraverso i canali ufficiali.
Sommando le dichiarazioni che arrivano dal governo pare lecito il sospetto che i destini del popolo palestinese non siano in cima alle priorità dell’esecutivo e le parole pronunciate al palazzo delle Nazioni Unite da Meloni, “a Gaza Israele ha superato il limite”, non siano poi seguite da azioni concrete.
Le condizioni poste da Meloni sul riconoscimento della Palestina sono i due motivi con i quali formalmente Netanyahu ha motivato il tipo di operazione militare in atto a Gaza, con il successivo tentativo di sterminio dei gazawi e l’invasione della Striscia: l’annientamento di Hamas e il rilascio degli ostaggi, obiettivi che in due anni di massacri nella Striscia non sono stati conseguiti. Le due condizioni, in ogni caso, potrebbero essere eventualmente realizzabili in tempi lunghi.
E ancora: Meloni ha parlato di una mozione, ed è noto che le mozioni in Parlamento non hanno mai avuto grande rilevanza, nemmeno se a presentarle è la maggioranza.
La presidente del Consiglio, come anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, ha anche affermato di non essere contraria a un riconoscimento della Palestina, “ma bisogna intendersi su cosa significhi”, e che “quando saranno ricostituite le condizioni necessarie per l’esistenza di uno Stato, quando questo processo avrà prodotto dei frutti, allora ci sarà anche un territorio e dei dati reali da riconoscere”. E Tajani: “Non c’è oggi uno Stato palestinese. Dobbiamo costruirlo”.
Ignorano in questo modo gli accordi di Oslo, il fatto che si parli per Gaza e la Cisgiordiania di “territori occupati” da Israele e che nella Striscia si indicano elezioni, tanto che Tel Aviv ha una condotta nei confronti di Hamas, eletta nelle ultime elezioni, esattamente come se fosse un governo nemico. Evidente è il fatto che i confini della Palestina non si possano tracciare agevolmente, perché Gaza e la Cisgiordania sono state scientemente disegnate per non consistere geograficamente in un tutt’uno.
E sì che basterebbe leggere l’enciclopedia Treccani, è on line: “In particolare, l’espressione (“territori occupati”, ndr) si riferisce ai territori sottratti da Israele agli Stati arabi, durante la terza guerra arabo-israeliana del 1967. Si tratta della Cisgiordania e di Gerusalemme Est, prese alla Giordania; di Gaza e del Sinai, presi all’Egitto; delle alture del Golan, prese alla Siria”.
“La restituzione incondizionata dei territori è stata richiesta dalla controversa risoluzione 242 delle Nazioni Unite (1967), mai attuata. Israele ha tuttavia reso il Sinai all’Egitto in seguito agli accordi di Camp David del 1978. Con gli accordi di Oslo (1993) la maggior parte della Cisgiordania è stata posta sotto l’amministrazione dell’Autorità nazionale palestinese, sebbene Israele continui a mantenervi insediamenti e a costruirne di nuovi, e nonostante la costruzione di una barriera difensiva lungo il confine provvisorio fra i due Stati”.
In attesa che il governo consulti la Treccani e vada oltre le polemiche e i distinguo, a Gaza viene portato a termine il progetto di Netanyahu, e quando forse le nostre navi, o quelle della comunità internazionale, approderanno sulle coste di Gaza, dove è diretta la Flotilla, potrebbero avere la sorpresa di non trovare nemmeno più l’ombra di un palestinese.