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Nella notte Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo che segna l’avvio della prima fase del cosiddetto piano Trump, con l’obiettivo di aprire un percorso di tregua dopo mesi di devastazione e stallo politico. L’intesa, annunciata dallo stesso ex presidente statunitense e prevista per ore 11 ora italiana, prevede un cessate il fuoco immediato e il rilascio di 48 prigionieri israeliani detenuti nella Striscia di Gaza. Secondo le autorità israeliane circa venti di loro sarebbero ancora in vita, un dato che restituisce tutta la drammaticità della situazione e la complessità di un negoziato costruito sul filo della disperazione.
Cosa prevede l’accordo
L’accordo non riguarda però soltanto la liberazione degli ostaggi. Al centro c’è anche la questione dei prigionieri palestinesi, un nodo ancora irrisolto. Israele e Hamas non hanno trovato un’intesa sulla lista dei 1.950 detenuti da rilasciare in cambio: tra loro circa 250 condannati all’ergastolo e 1.700 reclusi a Gaza. La definizione di questi nomi sarà il banco di prova per capire se la tregua potrà trasformarsi in un passo concreto verso la pace o se resterà soltanto un fragile intermezzo destinato a spezzarsi.
Prima del rilascio degli ostaggi, l’esercito israeliano dovrà ritirarsi fino alla cosiddetta “linea gialla”, una fascia di sicurezza definita dagli Stati Uniti che delimita la prima fase del ritiro dall’enclave palestinese. Questa linea consentirà alle truppe di Israele di restare comunque all’interno della Striscia, entro un perimetro che va da 1,5 a 6,5 chilometri di profondità, coprendo quasi metà del territorio di Gaza. Si tratta di un compromesso che formalmente sancisce un arretramento, ma che di fatto mantiene una presenza militare significativa, lasciando alla parte palestinese il compito di localizzare gli ostaggi prima dello scambio.
E ora?
La mossa, che Donald Trump ha definito “un successo della diplomazia americana”, rappresenta una delle più delicate operazioni politiche in Medio Oriente degli ultimi anni. Ma il terreno resta minato: la sfiducia tra le parti è profonda, il cessate il fuoco rischia di infrangersi al primo incidente e il contesto umanitario nella Striscia di Gaza rimane disperato. Senza una chiara prospettiva di soluzione politica, la tregua appare come un respiro momentaneo in una guerra che ha distrutto intere città, spezzato famiglie e lasciato aperta la ferita di un conflitto che dura da troppo tempo.
La comunità internazionale osserva con cautela, consapevole che ogni passo può riaccendere la miccia. L’intesa della notte potrebbe essere l’inizio di un lento cammino verso la fine delle ostilità, ma potrebbe anche rivelarsi l’ennesimo fragile equilibrio destinato a crollare sotto il peso delle armi e della sfiducia. Per ora, resta soltanto la speranza che questa tregua non sia un’illusione, ma l’inizio di un vero cambiamento.