L’Unione europea continua a destinare miliardi di euro, mascherati da linee di finanziamento industriali e con meccanismi decisionali e di controllo opachi fin dai progetti preparatori, al sostegno dell’industria militare, senza un dibattito serio sulla propria politica estera e di difesa. Sono le parole usate nella lettera inviata ai Parlamenti europeo e italiano e al Consiglio dell’Unione dalle associazioni Libertà e Giustizia, Rete Italiana Pace e Disarmo, ANPI, ARCI sotto il titolo ‘Appello per un uso di pace dei fondi del Recovery Plan’. Un appello caduto nel vuoto, visto che l'1 giugno sono stati elargiti 500 milioni per il sostegno alla produzione di munizioni stanziati con procedura d'urgenza attraverso la proposta di Regolamento Asap.

Nel testo erano presenti richieste motivate sostenute dagli attivisti europei, come testimonia Laëtitia Sédou, project officer della Rete europea contro il commercio di armi, alla quale abbiamo rivolto alcune domande e dalla quale abbiamo ricevuto risposte che ci permettono di comprendere quanto sta accadendo, spesso a nostra insaputa. 

Quanti miliardi ha stanziato l’Unione europea per la difesa e il settore delle armi?
Ci sono canali differenti attraverso i quali la Ue sostiene l’industria delle armi. Certamente il più consistente e diretto è il Fondo di difesa europeo (Edf): i programmi precedenti avevano già messo a disposizione 590 milioni di euro per l’industria bellica, per la ricerca e lo sviluppo di progetti tra il 2017 e il 2020. Poi, per il periodo 2021-2027, il budget del fondo è arrivato a 8 miliardi. Ora c’è anche la recente proposta Asap, quella della Commissione europea per una legge a supporto della produzione di munizioni con 500 milioni di euro in un anno alle compagnie produttrici. Anche se la proposta è stata fatta in relazione alla guerra in Ucraina, non esiste l’obbligo per le industrie di vendere l’extra-produzione solamente per l’uso nella guerra in corso o per stoccaggi nazionali. Finora metà di questa budget poteva essere prelevato dall’esistente fondo di difesa, ma la proposta cita ora modi differenti per il ristoro dello stesso Edf. Ci sono poi altri canali attraverso i quali l’Ue sta sovvenzionando l’industria bellica, ma è più difficile valutare l’ammontare delle sovvenzioni. C’è anche l’intervento della suddetta industria per avere accesso ai fondi civili europei, all’incremento dei programmi per l’educazione o ai fondi regionali, come se il settore delle armi fosse un normale settore come un altro. In alcun casi la Difesa è classificata tra le più alte priorità e la recente proposta Asap chiaramente incoraggia l’industria delle armi a integrare il suo fondo, facendo pieno uso dei fondi strutturali (Regionali, Europei sociali, di coesione) tanto come dal Recovery plan. È solamente alla fine dei programmi di implementazione che si potrebbe essere in grado di sapere quanto soldi dei suddetti programmi vanno all’industria delle armi.  

È la prima volta che ciò accade? Quale tipo di rischio si corre e a quali altre spese il denaro viene sottratto? 
Il 2017 è considerato un anno di svolta nella storia dell’Unione europea: per decenni è stato inconcepibile che il budget comune della Ue potesse essere usato per finanziare attività di carattere militare o per la produzione di armi. Ogni iniziativa europea in quest’area era nei fatti intergovernativa e direttamente finanziata dagli stati membri attraverso l’Agenzia di difesa europea, la cooperazione strutturata permanente e recentemente lo European Peace Facility. L’azione preparatoria per la ricerca nel settore della difesa (Padr) è stato il vaso di Pandora, perché sono state gettate le basi non solamente alla strada del Fondo di difesa europea (Edf), ma anche alla normalizzazione dell’industria militare e dell’uso del budget comune europeo per gli scopi militari. Un chiaro esempio di ciò è il programma di mobilità militare, per il quale si stanno dirottando finanziamenti dal programma di trasporti europeo (diretto a migliorare le reti nei settori dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni), così da adattare le infrastrutture per il movimento di truppe e di beni militari attraverso l’Europa. Questo è un chiaro esempio di diretta deviazione dei fondi civili per scopi militari. In ogni caso, ogni euro indirizzato a scopi militari non viene usato quindi per altre priorità urgenti e può sempre essere considerato come una forma di deviazione da sfide cruciali come, ad esempio, la lotta al cambiamento climatico o al degrado ambientale, o la diplomazia e la costruzione della pace non-violenta.

Quali sono i principali rischi che si corrono con questo sistema?
Il principale rischio è quello di far diventare l’Unione europea un altro ‘potere forte’ che contribuisce alle rivalità globali e che entri in un’economia di guerra nella quale l’industria delle armi è considerata la principale soluzione di tutto, perché si suppone garantisca la crescita, il lavoro, la sicurezza e sia intrinsecamente sostenibile e foriera di benefici sociali (come tentano di farci credere attraverso i media nazionali ed europei). Venti anni fa il principale motto europeo era supportare lo sviluppo e promuovere i diritti umani per raggiungere la sicurezza per tutti. Qualche anno fa la strategia globale europea è cambiata, includendo anche l’uso di fondi di aiuto esterni per equipaggiare la sicurezza e le forze militari nei Paesi partner del Sud del mondo, particolarmente in Africa. La logica: “Abbiamo bisogno di armi per garantire sicurezza”, non c’è bisogno di dire verso quale tipo di mondo ci sta portando.

Quali proposte avanzate per l’uso del Recovery plan?
Il Recovery potrebbe rimanere puramente e definitivamente a scopi civili ed essere usato per gli scopi iniziali: la transizione verde e quella digitale, la resilienza post-pandemica attraverso gli attori e le industrie civili. Anche senza essere pacifisti o antimilitaristi, andare nella direzione che considera l’industria bellica come un normale settore o come un settore trainante per la transizione verde non è solamente un non-senso, ma è anche pericoloso. Le armi sono pensate per uccidere, per usare la violenza, quindi non possono essere normalizzate. Molte ricerche mostrano come il settore militare contribuisca al cambiamento climatico e il potere militare sia un modo per mantenere relazioni sleali tra Paesi e controllare le risorse inquinanti, dall’olio ai materiali grezzi. Non esiste una ‘militarizzazione verde e pacifica’.

Cosa chiedevate e cosa continuate a chiedere al Parlamento europeo?
Noi riteniamo che il Parlamento europeo avrebbe potrebbe rigettare in toto le proposta dell’Asap, come anche per l’Edipra (il Rafforzamento dell’industria europea di difesa), perché garantiscono non solamente agli Stati membri il supporto necessario per quando saranno vuoti gli stoccaggi di materiale bellico da consegnare rapidamente all’Ucraina, ma anche alle compagnie produttrici di armi di avere contratti a lungo termine. Si pone quindi un quesito: a meno che non si scommetta che la guerra in Ucraina continuerà per numerosi anni, a chi potrà essere venduta tutta questa extra-produzione di munizioni una volta che il conflitto sarà finito? C’è poi anche il problema che alle industrie belliche viene permesso di derogare temporaneamente ai diritti sociali, alle regole ambientali o agli obblighi dei contratti pubblici. Questo tipo di misure eccezionali creano pericolosi precedenti finendo col trasformarsi in permanenti. Ultimamente le procedure accelerata non permette un vero dibattito democratico, ma anche questa non è una novità. Dal 2018 si è iniziato ad accettare nuove limitazioni alla democrazia e ai processi di controllo. 

C'è quindi un rischio di tenuta della democrazia?
Ci sono alcuni particolari che destano preoccupazione. La limitazione del ruolo del Parlamento non è compensato da un maggiore coinvolgimento dei Parlamenti nazionali. Inoltre gli interessi che riguardano la sicurezza servono anche per limitare il diritto di accesso ai documenti da parte di altri organi di controllo come la stampa o la società civile. C’è anche da notare che alcuni membri del Parlamento europeo hanno posto dei quesiti circa il fondo di difesa, ma le informazioni sui programmi selezionati arriveranno molto tardi: solamente nei prossimi mesi arriverà la ripartizione dettagliata del budget del 2021, vale a dire di ben due anni fa. Questo insieme di pratiche ostacola ampiamente qualsiasi forma di controllo o dibattito democratico sulle politiche europee a favore dell’industria delle armi, mentre quest’ultima è coinvolta in gruppi di lavoro per supportare la Commissione europea nell’implementazione dei programmi di difesa e ha accesso a più informazioni di quante ne abbiano i rappresentanti eletti nell’Unione europea.