Un litro di latte oltre i due euro, fino a sei euro per un chilo di pane fresco, frutta e verdura a prezzi stratosferici. Per non parlare del costo della benzina, delle bollette di luce e gas, dei farmaci. Qualunque famiglia alle prese con le spese quotidiane sta soffrendo le conseguenze di un’inflazione galoppante che svuota il carrello e alleggerisce il portafoglio ormai da due anni. E anche se negli ultimi mesi ha rallentato la corsa, gli effetti degli aumenti rimangono, non tornano indietro: quello che sta succedendo adesso è che l’incremento dei prezzi diminuisce, ma continua.

2021-2022-2023

Più 1,9 per cento nel 2021, più 8,7 nel 2022, più 6 per cento nel 2023 (calcolata fino a oggi). Questi i dati ufficiali dell’inflazione negli ultimi tre anni. Il carrello della spesa, e cioè i beni alimentari, per la cura della casa e della persona, che compriamo con più frequenza, però, hanno registrato un’inflazione ancora maggiore: secondo l’Istat a settembre 2023 la crescita si è attestata sul più 8,3 per cento.

Nel frattempo, mentre il costo dei beni è salito, i consumi sono calati. Per difendersi dal caro prezzi, infatti, le famiglie hanno iniziato a comprare di meno. “Nel secondo trimestre 2023, rispetto al trimestre precedente, il Pil ha segnato una flessione dello 0,4 per cento – spiega Nicolò Giangrande, economista e componente l’Ufficio Economia dell’Area Politiche per lo Sviluppo della Cgil nazionale -, determinata dalla diminuzione della domanda interna, con un calo che riguarda sia i consumi finali che gli investimenti. Le vendite al dettaglio registrano ad agosto 2023, su base annua, un aumento in valore (più 2,4 per cento) e una riduzione in volume (meno 4,1 per cento)”.

Potere di acquisto: meno 17 per cento

Il perché è presto spiegato: le famiglie hanno perso potere di acquisto, dato che i salari e le pensioni sono rimasti bloccati, mentre l’inflazione è cresciuta. Di quanto ci siamo impoveriti? Di quasi il 17 per cento. In pratica se guadagniamo mille euro al mese, è come se disponessimo di 170 euro in meno al mese per i nostri acquisti. Di fatto l’inflazione si è scaricata tutta sui pensionati e sui lavoratori, 8 milioni del settore privato che sono in attesa del rinnovo del contratto, e 3 milioni 365 mila quelli del settore pubblico.

“Il livello dei prezzi è enormemente cresciuto rispetto all’inizio del 2021 – continua Giangrande -, e anche un ritorno a un’inflazione al 2 per cento, che è l’obiettivo della Banca centrale europea, non ripristinerebbe in alcun modo il potere d’acquisto perso dai salari in questi anni”.

Le cause dell’inflazione

Vale la pena di ricordarle, le cause di questa crisi dell’inflazione, che sono diverse. “Inizialmente c’è stata la ripresa degli scambi internazionali dopo la pandemia – spiega l’economista della Cgil -, con interruzioni e strozzature nelle catene di fornitura. Poi la crescita dei prezzi delle materie prime energetiche e alimentari, conseguente alla guerra in Ucraina. Infine, il comportamento opportunistico da parte delle imprese che hanno scaricato sui prezzi l’aumento dei costi di produzione e colto l'occasione anche per aumentare i profitti”.

Inflazione da profitti

Sono i famosi extraprofitti, una speculazione riconosciuta anche dallo stesso governo, che nella Nadef, Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, a pagina 40 ha evidenziato come in Italia la natura dell’inflazione sia in gran parte da profitti. Duemila miliardi di dollari nel biennio 2021-2022 a livello mondiale totalizzati da 722 grandi aziende, secondo un’analisi di Oxfam e ActionAid, che ha passato in rassegna le compagnie della classifica "Global 2000" di Forbes: società energetiche, multinazionali del comparto alimentare, banche, i maggiori player del settore farmaceutico, i principali rivenditori al dettaglio.

La tassa sugli extra

Da qui la tassa sugli extraprofitti degli istituti bancari, cioè sui maggiori guadagni ottenuti grazie all’aumento dei tassi di interesse su mutui e prestiti che si è visto nell’ultimo anno, messa in campo dal governo nel decreto cosiddetto Asset. Peccato che in fase di conversione in legge il provvedimento sia stato molto depotenziato: sono cambiati i parametri su cui si calcola la tassa, mentre le banche possono persino scegliere di non pagarla a certe condizioni.

A questa situazione si può porre rimedio tassando davvero gli extraprofitti e aumentando i salari attraverso il rinnovo dei contratti nazionali, compresi quelli di oltre 3 milioni di lavoratori pubblici di cui il governo ha diretta responsabilità e sui quali non ha ancora messo un euro. Poi c’è la leva fiscale: la conferma della decontribuzione, l’indicizzazione all’inflazione delle detrazioni per i redditi da lavoro e da pensione, la detassazione degli incrementi salariali nazionali.

Un carrello pieno di niente

Anziché assumere provvedimenti seri, il governo si appella invece al buon cuore delle imprese e vara il trimestre anti-inflazione. Dal primo ottobre al 31 dicembre nei punti vendita che aderiscono all’iniziativa (più di 23 mila in tutta Italia, da Coop a Esselunga, da Conad a Carrefour) alcuni prodotti, beni di prima necessità, alimentari e non solo, avranno un prezzo bloccato o ribassato di una percentuale decisa dai singoli esercenti. Quindi in risposta alla drammatica emergenza salariale, l’esecutivo reagisce con un’operazione di facciata, con un carrello tricolore pieno di niente. Un'operazione puramente pubblicitaria.