Mentre Meloni e il suo governo continuano a narrare un’Italia che non esiste, quella dove tutti e tutte sono occupati e hanno un salario rispettoso della Costituzione che consenta, cioè, di mantenere se stessi e le proprie famiglie in maniera dignitosa, Nicolò Giangrande, responsabile dell’Ufficio economico della Cgil, fotografa la realtà di un Paese afflitto da salari bassi, troppo bassi con conseguenze macroeconomiche rilevantissime, e – soprattutto – ammalato di diseguaglianze forti tra Nord e Sud.

I numeri in Italia

L’ Ufficio economico della Cgil ha esaminato i dati dell’Osservatorio sui lavoratori e lavoratrici dipendenti del settore privato, esclusi quelli agricolo e domestico, del 2024 e il risultato è davvero triste e anche sconcertante, vedremo perché. Andiamo per ordine, il salario lordo annuale medio nel settore privato in Italia, si è attestato a 24.486 euro. Il lavoratore a tempo indeterminato, full-time e anno intero ha guadagnato 39,6 mila euro lordi annui, mentre un lavoratore a tempo determinato ha guadagnato 10,5mila ero lordi annui e un part- time 12,2 mila lordi annui.

I numeri al Sud

Se già la media italiana non rende felici, visto peraltro che, mentre in Germania e Francia i salari dal 2021 in poi son cresciuti, da noi il potere d’acquisto delle buste paga è diminuito, la differenza tra i salari delle diverse zone del Paese è sconcertante. Si legge ancora nello studio di Giangrande: “Nel Mezzogiorno il salario lordo annuale medio è pari a 18.148 euro, con un differenziale salariale che lo penalizza complessivamente nella misura del -25,9% rispetto all’Italia. Inoltre, nel Meridione si registra una significativa differenza anche nei vari profili occupazionali, in particolare nel caso del lavoratore standard”.

Le ragioni dello sciopero generale

Secondo Christian Ferrari, segretario confederale della Cgil, questi dati dimostrano che “la questione salariale nel Mezzogiorno è un’emergenza nell’emergenza. Nel Sud quasi la metà dei lavoratori del settore privato ha percepito un salario inferiore ai 15 mila euro lordi annui che equivalgono, nel migliore dei casi, a circa 1.100 euro netti mensili. Le gabbie salariali, di fatto, esistono già e andrebbero superate, mentre non pochi le propongono addirittura come la soluzione”. 

L’emergenza nell’emergenza

Nel Mezzogiorno si è poveri, più che al Nord pur lavorando. Fenomeno, peraltro, messo in evidenza anche nell’ultimo Rapporto Svimez che nelle regioni meridionali si registra una caduta più forte del potere di acquisto delle buste paga: -10,2% contro -8,2% nel Centro-Nord. Inflazione più intensa e retribuzioni nominali più stagnanti accentuano il divario in quelle regioni. Questo fenomeno ha come conseguenza l’aumento della povertà tra chi un lavoro ce l’ha. Si legge ancora nel rapporto che al Sud sono poveri “un milione e duecentomila lavoratori meridionali, la metà dei lavoratori poveri italiani, è sotto la soglia della dignità”.

Le cause del divario

Al di sotto del Garigliano si lavorano meno giornate che al Nord, c’è un’alta concentrazione di occupazione nei settori di lavoro non standard come part-time e a tempo determinato e poi sono troppi gli uomini e le donne che lavorano in settori a basso valore aggiunto. Il risultato è che il salario medio di un part-time meridionale è di 10.093 euro lordi annui e quello di un tempo determinato è di 9.359 euro lordi annui. Non solo, lo dicevamo, nei settori più fragili si concentra la gran parte dell’occupazione meridionale: il 34,5% è a termine, oltre il 43% è part-time e 56,5% è discontinuo.

Aumenta l’occupazione ma c’è un trucco

Sempre secondo la Svimez tra il 2021 e il 2024 sono quasi 500 mila gli uomini e le donne che hanno trovato un’occupazione al Sud, tra questi 100 mila sono ragazzi e ragazze. Anche se sempre tra il 2021 e il 2024 se ne sono andati in 175 mila, la metà dei quali laureati. Ma il guaio è che la gran parte di quei 500 mila sono occupati in settori a basso salario. Ma nell’aumento dell’occupazione, in Italia e nelle regioni meridionali, c’è un trucco. Lo spiega il segretario confederale della Cgil: “L’aumento dell’occupazione riguarda quasi solo gli over 50, spinto dall’innalzamento dell’età pensionabile, ed è trainato da settori a basso valore aggiunto, caratterizzati da lavoro povero e sfruttamento. Questo accade particolarmente nelle regioni meridionali, dove si concentrano i fattori negativi del mercato del lavoro: meno giornate retribuite, più precarietà, più part-time involontario e discontinuità lavorativa, meno occupazione femminile”.

Perché si scappa

Si legge ancora nel documento dell’Ufficio economico della Cgil: “Nel 2024, nelle classi inferiori a 25 mila euro lordi annuali ricade il 60,1% dei lavoratori dipendenti del settore privato in Italia (10,7 milioni) contro il 74,5% nel Mezzogiorno (3,2 milioni). Tra questi, si segnala che sotto i 15 mila euro lordi annuali c’è il 34,5% dei lavoratori a livello nazionale (6,1 milioni) contro il 47,3% a livello meridionale (2,1milioni)”. “Sono questi numeri – afferma ancora Ferrari – che spiegano, più di ogni altra causa, l’esodo di 175.000 giovani meridionali nel triennio 2022–2024 verso altri territori del Paese e verso l’estero, per cercare un lavoro dignitoso e una vita migliore”.

Invertire la curva

Secondo Ferrari: “Il primo passo per affrontare questa innegabile realtà è guardarla negli occhi. Il governo fa esattamente il contrario, sbandierando record del tutto immaginari. I famigerati ‘risultati formidabili’, recentemente rivendicati dalla presidente del Consiglio, sono presto detti: nel prossimo biennio saremo all’ultimo posto in Europa per dinamica del Pil, gli unici a restare sotto l’1%. E non potrebbe essere altrimenti: manca del tutto una politica industriale; se si esclude il Pnrr (che andrà a scadenza l’anno prossimo, e senza il quale saremmo già in recessione), sono stati sostanzialmente azzerati gli investimenti; si è tornati a politiche di austerità che definanziano la sanità, tagliano pesantemente l’intero sistema pubblico dei servizi e i trasferimenti a Regioni ed Enti locali; il drenaggio fiscale impoverisce ulteriormente i redditi fissi, già pesantemente erosi dall’inflazione degli ultimi anni”.

Domani nelle piazze

L’affermazione del dirigente sindacale è netta: “L’inconsapevolezza, da parte dell’Esecutivo, di quale sia il vero stato delle cose è dimostrata dal tentativo di rilanciare un’Autonomia differenziata che, se applicata, non farà altro che aggravare diseguaglianze sociali e divari territoriali”.

“Diseguaglianze e divari – aggiunge - che andrebbero invece ridotti innanzitutto con una strategia in grado di far ripartire l’economia del Mezzogiorno (la Zes unica è uno strumento, non una politica industriale) e con scelte che contrastino la povertà salariale e la precarietà, a partire da una legge sul salario minimo, sulla rappresentanza, sulla centralità del lavoro stabile a tempo indeterminato”.

“Nella manovra di bilancio, varata dal Consiglio dei ministri e di cui il Parlamento, ormai del tutto esautorato del suo ruolo, non ha ancora votato un solo articolo, non c’è alcuna risposta alle questioni che stiamo sollevando. Per modificarla - conclude Ferrari - abbiamo indetto lo sciopero generale di domani, 12 dicembre”.

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