È diventata subito virale la protesta lanciata sui social dalle donne della Cgil sotto lo slogan Sì alle tutele/No ai tutori contro l’ingresso nell’ospedale sant’Anna di Torino degli antiabortisti del Movimento per la vita di Rivoli. Da tutta Italia e da tutte le categorie, nel giro di poche ore, sono state postate migliaia di foto con i volti seri, arrabbiati, irremovibili e decisi, delle donne e degli uomini della Cgil che sotto l’hashtag #liberediscegliere contestano l’idea chiaramente paternalistica che le donne che decidono di abortire abbiano bisogno di un “sostegno” per ripensarci. 

Che poi, cosa si intenda per “sostegno” non è spiegato in nessuno degli 11 articoli dell’accordo quasi tutti dedicati a definire il rapporto tra ospedale e associazione, e nel quale si cita solo una generica “vicinanza umana” che affidata agli antiabortisti assume una connotazione a dir poco preoccupante. Non è un caso infatti che l’accordo sia stato promosso e rivendicato dall’assessore regionale alle politiche sociali, Maurizio Marrone di Fratelli d’Italia, già noto al mondo femminista piemontese per avere finanziato con oltre 400 mila euro le associazioni no choice con la convinzione che per aumentare la natalità occorra contrastare il ricorso all’IVG libera e sicura.

Per le Politiche di genere della Cgil che monitorano e contrastano la deriva ultraconservatrice della destra anche italiana contro l’autodeterminazione delle donne, l’accordo torinese è apparso subito la breccia per analoghe misure che il partito della premier potrebbe promuovere in altre regioni e a livello nazionale sulla scia di quanto sta accadendo nel resto del mondo.

Negli Usa nel giugno del 2022 una sentenza della Corte suprema ha cancellato il diritto federale all’aborto libero e sicuro consentendo così agli stati guidati da governatori ultracon di renderlo illegale. In Polonia, dove dal 2021 l’aborto non è più lecito stanno aumentano i casi di donne uccise da setticemie e infezioni perché nessun medico interviene anche se il feto è fortemente malformato o deceduto. In Ungheria lo scorso settembre è entrata in vigore la legge sull’obbligo di far ascoltare il battito fetale alle donne che vogliono interrompere la gravidanza. 

A dispetto delle dichiarazioni della presidente del Consiglio e della ministra Roccella circa il rispetto della legge 194, dopo il caso Torino, cresce il timore che anche l’Italia voglia seguire le orme dei Paesi politicamente affini all’attuale governo. Per questo la Cgil tutta si è subito mobilitata: sui diritti non si torna indietro e le donne devono essere #liberediscegliere.

Esmeralda Rizzi, politiche di genere Cgil nazionale