È estate e ci riprovano. In uno degli ospedali piemontesi che dovrebbe tutelare e promuovere la salute psicofisica delle donne, sta per aprire uno sportello per dissuadere le donne a effettuare l’interruzione volontaria di gravidanza. Sì, dissuadere perché se lo sportello viene affidato alle “cure” di una associazione “pro vita” e antiabortista di altro non si può parlare che di dissuasione e di limitazione della autodeterminazione femminile. Autodeterminazione femminile, uno dei cardini su cui si fonda la legge 194.

La stanza per l'ascolto

L’assessore alle politiche sociali della regione Piemonte Maurizio Marrone ha promosso una “Convenzione” tra la Città della salute e la Federazione Movimento per la vita per creare una “stanza per l’ascolto” delle donne che hanno deciso di interrompere la gravidanza. In quella stanza a “dare ascolto” saranno esponenti del movimento antiabortista, una forma di coercizione della volontà e della scelta delle donne.

Dice Lara Ghiglione, segretaria confederale della Cgil: “Singolare come per aiutare le donne che potrebbero avere deciso di interrompere la gravidanza perché in difficoltà, quattro uomini – l’assessore alle Politiche sociali Maurizio Marrone, il direttore generale dell'Aou Città della salute Giovanni La Valle, il direttore sanitario del Sant'Anna Umberto Fiandra e il presidente regionale della Federazione del Movimento per la vita Claudio Larocca – abbiano deciso che la soluzione sia far parlare quelle donne con volontari antiabortisti”.

Le donne non ci stanno

La 194 è una legge conquistate dalle donne e confermata da un referendum popolare. Oggi come allora ampia sarà la mobilitazione in difesa della libertà e dell’autodeterminazione delle donne. “L’interruzione della RU 486 nei consultori - affermano Anna Poggio (segreteria Cgil Piemonte) ed Elena Ferro (segreteria Cgil Torino) -.e la registrazione dei Centri di aiuto alla vita presso le Asl, con l’avvio del fondo regionale Vita nascente e con l’utilizzo di figure di volontari che affiancherebbero le donne anche all’interno del Sant’Anna, rappresentano un attacco inaccettabile alla legge 194 e negano la libertà di scelta e di autodeterminazione per le donne che devono decidere se proseguire o interrompere la gravidanza”.

E la rete + di 194 voci, Nudm e Consultoria Fam aggiunge: “Abbiamo espresso più volte indignazione per la decisione della Regione di far entrare associazioni private antiabortiste nelle strutture pubbliche, ben sapendo che ogni manovra contro l’aborto e contro una corretta applicazione della legge 194 rappresenti un attacco all’autodeterminazione e alla salute di tutte le donne e le persone gestanti. No agli antiabortisti dentro il Sant’Anna. Sì alla riapertura immediata del Centro nascita. Pretendiamo che i soldi pubblici vengano usati per risolvere l’emergenza che sta sempre più sostenendo una diaspora della salute ginecologica verso la sanità privata, per le poche persone che possono permetterselo. Rivendichiamo il diritto all'autodeterminazione delle scelte che riguardano tutti gli aspetti della nostra autodeterminazione, comprese le modalità del parto”.

Una campagna social

Come reazione all’annuncio della convenzione che pare essere segreta – visto che abbiamo più volte chiesto il testo al nosocomio senza ottenerla – la Cgil ha lanciato una protesta via social diventata subito virale sotto lo slogan "Si alle tutele/No ai tutori", che ha coinvolto uomini e donne di tutti e territori e delle categorie perché “le donne- scrivono Cgil Torino e Piemonte - non hanno bisogno di ‘tutori’, ma semmai di ‘tutele’ dei propri diritti e delle proprie libertà, compresa quella di decidere se proseguire o meno la gravidanza. Lavorare sulla prevenzione, compresa la distribuzione degli anticoncezionali gratuiti, dovrebbe essere una delle azioni da mettere in campo, oltre a una corretta educazione sessuale nelle scuole che insegni il rispetto per le donne e ciò che esprimono”.

Cosa serve alle donne

Non tutte le donne che vorrebbero diventar madri riescono a rispondere positivamente al proprio desiderio. Serve favorire l’occupazione femminile e non discriminare le lavoratrici madri e una rete di servizi utili alla conciliazione, così come servono politiche che aiutino la libera scelta di diventare genitori. Conclude infatti Lara Ghiglione: “Questa vicenda, così come la nota dell’assessorato che l’accompagna, rende evidente come l’obiettivo vero non sia sostenere le donne ma negarne l’autodeterminazione. Se davvero l’assessore alle Politiche sociali della Regione Piemonte volesse incentivare la natalità, dovrebbe incrementare i servizi sociali, gli asili nido, il servizio mense, l’assistenza alle famiglie in difficoltà e impegnarsi per norme di contrasto alla precarietà delle donne e al gap salariale che come sappiamo sono due caratteristiche strutturai del lavoro femminile, più povero, più occasionale e meno tutelato”.