"Io sono una persona semplice. Ho fatto quello che c'era da fare quel giorno, quello che andava fatto”. Costantino Baratta, muratore e pescatore diportista, è un uomo comune che ha fatto qualcosa di grande. All'alba del 3 ottobre del 2013 era lì. Al largo delle coste di Lampedusa, dove un peschereccio libico stracarico di migranti era appena naufragato, portando a fondo ben 368 corpi. Costantino è uno dei protagonisti della cronaca della più grande tragedia che il Mediterraneo abbia vissuto nell'ultimo secolo. Non a caso, quella data, il 3 ottobre, è diventata un simbolo del dramma delle migliaia di migranti morti in mare negli ultimi decenni per raggiungere le coste della ricca Europa. Per il suo gesto, nel 2018, Costantino è stato anche inserito nel Giardino dei giusti tra le nazioni di Milano.

“Quella mattina ero uscito in barca insieme al mio amico Onder - ci racconta con forte accento siciliano -, e abbiamo subito notato che c'era qualcosa di strano. C'erano delle barche raggruppate sottocosta, a quell'ora non succede quasi mai. Allora ci siamo avvicinati e abbiamo visto tutto: teste che uscivano dall'acqua, occhi sgranati e braccia alzate. Si sentivano solo le loro urla. Non abbiamo pensato a nulla, in realtà, non ci siamo detti niente. Ci siamo solo guardati negli occhi e abbiamo cominciato a tirarli su”.

Costantino, allora, s'è inginocchiato sul suo piccolo scafo e ha sollevato dall'acqua unidici ragazzi e una ragazza. Quei 12 profughi eritrei sono stati gli ultimi ripescati vivi dal mare e hanno fermato il bilancio complessivo a 153 superstiti. “Il primo l’ho preso per la mano però mi scivolava. Poi sono riuscito ad afferrarlo meglio e a portarlo a bordo. Allora mi sono accorto che era tutto nudo e sporco di gasolio. Poi ho preso tutti quelli che si muovevano, mentre tutto intorno gli altri erano già morti. Poi mi sono accorto che sul fianco sinistro della barca c'era un altro corpo che galleggiava”. Era un ragazzo che indossava jeans e maglietta. “Pensavo che fosse morto, poi mi sono accorto che si muoveva un poco, quindi l'ho preso per la cintura e l'ho portato su come un manichino”. Era l'undicesimo. Per gli altri non c'era più nulla da fare. La guardia costiera decide di prendere a bordo tutti i sopravvissuti, “perché carichi com'eravamo non potevamo nemmeno rientrare in porto”. Ai morti che continuano a ondeggiare sul mare sporco di nafta, ci penseranno i carabinieri.

“Mentre tornavamo in porto, però - racconta poi Costantino -, abbiamo visto una ragazza. Il mio compagno mi ha detto 'lascia stare, è morta'. Lei forse avrà sentito qualcosa, e ha avuto la forza di alzare la mano. Era Luam, l'abbiamo consegnata alla motovedetta. È stata l'ultima che abbiamo trovato viva”. Luam, nei giorni successivi, quelli strazianti del riconoscimento dei corpi e delle bare allineate nell'hangar (“quelle bianche e le grida strazianti dei parenti sono il ricordo peggiore che conservo”), è andata a cercare Costantino. Per dirgli grazie, per abbracciarlo. “Poi abbiamo cominciato a parlare e grazie a lei li abbiamo rintracciato tutti quei ragazzi. Da quel momento sono diventati membri della mia famiglia. Il primo anno della commemorazione volevano stare tutti con noi, con mia moglie Rosa e con me, a casa nostra. Sono passati tanti anni ma con alcuni di loro ci sentiamo ancora, comunichiamo tramite messaggi. Robel ha già un figlio che si chiama Natan, e anche Adamon. Siamo felici perché dopo tante sofferenze hanno finalmente trovato la loro strada”.

Oggi, però, Lampedusa è ancora nell'occhio del ciclone. Gli sbarchi si sono susseguiti per tutta l'estate, e continuano tuttora. E i lampedusani e i profughi, sono ancora lì, lungo la prima linea d'Europa, a dividersi i ruoli: italiani e stranieri, profughi e soccorritori, sommersi e salvati. “Pare che quella grande tragedia non ci abbia insegnato poi molto - commenta Costantino -. Ma quella che viviamo è la normalità di noi lampedusani. Perché sono trent'anni che qui arrivano migranti. Ora magari c'è il Covid e qualcuno ha un po' di paura in più. Qualcuno magari mugugna. Ma siamo un'isola di 5.000 abitanti con molti problemi, e i migranti possono anche diventare una scusa per sfogare frustrazioni diverse”.

“Però noi siamo gente di mare, e la legge del mare dice che chi è in difficoltà va aiutato - spiega -. Nel 2011, prima della grande tragedia, quando arrivarono a migliaia dopo la primavera araba, non c'è stato nemmeno un lampedusano che si è tirato indietro”. “Noi siamo qui, e continuiamo a fare quello che c'è da fare - ripete infine Costantino -. Ma questa è una cosa normale. Siamo in mezzo al mare e non possiamo fare altro. Magari per qualcuno non è così, ma per me lo è”.