Come scritto nella prefazione da Piergiorgio Odifreddi, questo libro “sdogana sin dal titolo il sostantivo proibito che in Occidente non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo usare”. Il titolo in questione è Un genocidio annunciato, e anche il sottotitolo non scherza: “Storie di sopravvivenza e resistenza nella Palestina occupata” (pp. 240, euro 18). Uscito negli Stati Uniti nell’aprile di quest’anno, da pochi giorni si trova anche nelle librerie italiane grazie a Fazi editore, che già nei mesi scorsi si è distinto per un’altra, vien da dire, coraggiosa pubblicazione: Il loro grido è la mia voce. Poesie da Gaza, raccolta di vari autori e autrici palestinesi, alcuni dei quali uccisi dalla reazione omicida israeliana all’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre 2023.

Questo nuovo volume viene invece scritto da Chris Edge, giornalista e scrittore americano, vincitore del premio Pulitzer, che per circa vent’anni è stato corrispondente per “The New York Times”, “Dallas Morning News” e altre testate importanti, soprattutto dal Medio Oriente, America Latina, Africa e Balcani. E proprio per il giornale newyorkese, Edge ha seguito per sette anni il conflitto israelo-palestinese, trascorrendo gran parte del tempo a Gaza, dove è tornato nel luglio del 2024, esperienza raccolta nella prima parte di questo suo nuovo lavoro.

Un passaggio, nel suo incipit, ci fa entrare subito nell’atroce quotidianità che ogni giorno viene vissuta nella Striscia, da chi ancora è rimasto in vita:

Non tornavo in Cisgiordania come giornalista da più di vent’anni. Il tempo sembra non essere passato. Gli odori, le sensazioni, le emozioni e le immagini, la cadenza melodiosa del l’arabo e il miasma della morte violenta e improvvisa che aleggia nell’aria evocano il male antico. È come se non fossi mai partito. Sono su una Mercedes nera scassata, guidata da un amico trentenne di cui non farò il nome per motivi di sicurezza. Lavorava nell’edilizia in Israele ma ha perso il lavoro il 7 ottobre 2023, come quasi tutti i palestinesi impiegati in Israele. Ha quattro figli e tira avanti a fatica. I risparmi si sono ridotti. Comprare da mangiare e pagare la luce, l’acqua e la benzina sta diventando difficile. Si sente sotto assedio. È sotto assedio. Ha poca stima della collaborazionista Autorità Nazionale Palestinese. Non gli piace Hamas. Ha amici ebrei. Parla l’ebraico. L’assedio sta distruggendo lui e tutti quelli in torno a lui. «Qualche altro mese così e sarà la fine», dice fumando nervosamente una sigaretta. «La gente è disperata. Sempre più persone soffrono la fame».

Lo sappiamo, lo vediamo dalle immagini che arrivano sui nostri organi di informazione, accompagnate dal racconto dell’Idf che spara sulla folla in cerca di un pezzo di pane, o di un po’ d’acqua potabile. Il problema però, un problema ogni giorno più grande, è che queste immagini, questi racconti, arrivano ormai anche a noi sempre più raramente, offuscate dalla guerra tra Israele e Iran, come fosse giunta a proposito per spegnere i pochi riflettori rimasti accesi laggiù, tra le macerie e le vittime del popolo palestinese, in modo da consentire di concludere “il lavoro sporco”, come il cancelliere tedesco Friedrich Merz definisce l’operazione israeliana a Teheran, anche in Palestina, senza tanto clamore, senza troppa attenzione, a fari spenti.

E tra i motivi per cui leggere questo libro, ben approfonditi nella seconda parte del testo, c’è anche questo, vale a dire la messa in discussione da parte dell’autore della narrazione dominante che ci avvolge, quella impegnata a presentare Israele quale unica democrazia mediorientale, laddove secondo Hedges il sionismo rimane invece un’ideologia strettamente legata al colonialismo e alla supremazia etnica, e come dunque proprio in virtù di questo, il genocidio rappresenti l’epilogo inevitabile della politica espansionista di Israele, ottenuta grazie a una sistematica impunità internazionale.

Un’operazione resa possibile anche in virtù del sofisticato apparato di propaganda israeliano, in stretta complicità con i media occidentali, ormai allenati a distorce i fatti per legittimare l’oppressione e dipingere i palestinesi, tutti i palestinesi, e non i criminali assassini di Hamas, come terroristi, minimizzando, e ora oscurando in maniera pressoché le atrocità commesse dal governo di Tel Aviv, quotidianamente, nei confronti di uomini, donne, bambini.

Se fino a qualche tempo fa, qui in Occidente potevano essere in qualche modo giustificate le remore nell’utilizzo del termine genocidio rispetto a quanto accade a Gaza, dopo la lettura di questo libro ogni velo viene squarciato.