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Gli Oscar made in Italy sono quel momento in cui il mondo del cinema italiano si trova faccia a faccia con quello della politica. Prima con la tradizionale cerimonia al Quirinale, poi con la serata di premiazione. E ieri (mercoledì 7 aprile), in diretta su Rai 1, c’era schierata in prima fila tutta l’artiglieria pesante capitanata dalla senatrice Lucia Borgonzoni. Ma la sottosegretaria al ministero della Cultura se l’è sentite cantare e suonare dalla maggior parte di coloro che sono saliti sul palco.
La figuraccia del governo
In molti hanno sottolineato lo stato di sofferenza in cui vivono la maggior parte delle produzioni italiane. Pochi investimenti e pochi provvedimenti, tra cui una riforma del tax credit, triste eredità di Gennaro Sangiuliano, che ha soffocato soprattutto le piccole e medie realtà indipendenti, introducendo requisiti inarrivabili per poter accedere al contributo (non più preventivo e generalizzato come era in passato).
Pupi Avati: “Dov’è la Borgonzoni?”
“Dov’è la Borgonzoni? Come mai non è ancora andata via?”, ha chiesto Pupi Avati ritirando il riconoscimento alla carriera. Il governo, insomma, ha fatto una figuraccia, semmai fosse necessaria una kermesse come quella di ieri per mettere in evidenza l’inadeguatezza del precedente ministro della Cultura e l’immobilismo di quello attuale. Il produttore e regista, così come altri suoi colleghi, hanno lanciato più di una stoccata nei confronti del nuovo progetto Cinema Revolution, presentato dal palco proprio dalla sottosegretaria Borgonzoni, definito come una stagione straordinaria di film e promozioni. Ma – come diceva qualcuno – la rivoluzione non è un pranzo di gala, e nemmeno un sacchetto di pop corn. E qualche sconto in cassa non aiuterà di certo i lavoratori dell’audiovisivo a uscire da un profondo momento di crisi.
Di Marco, Slc: “C’è grande insofferenza nel settore”
“Mi sembra ci sia grande insofferenza da parte del mondo del cinema per un sistema di finanziamento che non risulta adeguato”, commenta Sabina Di Marco, segretaria nazionale Slc Cgil, all’indomani dei David: “Sul versante sindacale, per noi il tema prioritario resta un sistema di tutele per le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo fortemente deficitario. Abbiamo ancora parametri di accesso alla Naspi inadeguati e purtroppo anche l'indennità tanto agognata è risultata un flop. Bisogna tutelare il lavoro non solo delle eccellenze ma di tutti, perché è lì che muove i primi passi anche l'eccellenza”.
Tutelare tutti, non solo le eccellenze
Un’eccellenza che ieri sera era tutta lì, nello Studio 5 di Cinecittà, fasciata in abiti di lusso e pronta a bastonare il governo e prendere una posizione. Meno pronta, forse, a scendere in piazza accanto ai colleghi meno famosi e fortunati. Quelli che “non hanno svoltato” e che però quotidianamente faticano a trovare lavoro dignitosamente retribuito, all’altezza del talento e delle competenze affinate con anni e anni di studio e di esperienza. Quei colleghi che devono faticare per ottenere un contratto, e per i quali il cinema non riesce a essere il solo e unico lavoro. Quelli che, per arrivare a fine mese, hanno sempre bisogno di un piano B.
L’iniziativa del sindacato
“Con la Fondazione Di Vittorio stiamo facendo un'indagine a tappeto che vedrà la prima fase il 17 maggio con la partecipazione di tutto il mondo del lavoro che rappresentiamo”, prosegue Di Marco: “Mancano infatti numeri condivisi e affidabili circa lavoro e imprese nel settore, e questo crea grande disordine. Ipotizziamo in quella data di proporre anche una mobilitazione sulle misure di welfare”.
Le piccole imprese tagliate fuori
“Qui c’è opulenza – ha commentato Pupi Avati concludendo il suo discorso dal palco – ma le società piccole e indipendenti stanno facendo fatica”. Proprio quelle società per cui nella maggior parte dei casi le porte dei David sono chiuse a chiave. “Spesso sono piccole realtà a tentare di proporre modelli creativi alternativi e plurali”, osserva Di Marco, sottolineando che il cinema per sua natura subisce flessioni produttive per fattori diversi e che la sperimentalità è un valore primario per la cultura. “Ma non solo”, conclude la segretaria Slc Cgil: “È necessario un sistema di finanziamento che garantisca possibilità di accesso e libertà di espressione”.
Gli artisti scendano nelle piazze
Bene dunque che, chi ha avuto la possibilità di farlo ieri sera dal palco, abbia lanciato un messaggio di protesta nei confronti del sistema attuale. Bene le firme illustri e gli appelli che negli ultimi mesi hanno denunciato iniziative come il decreto Salva Metropolitan sulle sale romane. Ancora meglio, se i divi del cinema italiano si facessero vedere anche nelle piazze, alle mobilitazioni promosse dal sindacato per rivendicare condizioni di lavoro dignitose e più rispetto. Se in tanti fossero disposti a usare la loro popolarità per sostenere la campagna referendaria, contro precarietà e mancanza di tutele. Se si rifiutassero di lavorare ogni volta in cui, nello stesso film, ci sono colleghi e maestranze trattati alla stregua di servi della gleba, dal punto di vista delle paghe e della sicurezza sul lavoro. Se si ribellassero a una logica di distribuzione delle risorse del tutto discriminatoria, fatta di cachet milionari e paghe da miseria.