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Il 28 settembre è ricorsa la Giornata mondiale per l'aborto libero e sicuro, che ha visto diversi eventi, dibattiti, incontri per ragionare sul tema. Tra questi, abbiamo partecipato a quello promosso dai consultori di salute sessuale EOC del Canton Ticino. Una serata d’informazione e di discussione sul tema dell’interruzione di gravidanza, per interrogarsi sulla situazione politica attuale, e sulla distanza tra le leggi e la loro applicazione, analizzando quali siano oggi i fattori che ostacolano le donne in questo percorso. Ma è stata soprattutto un’occasione per dare voce ai vissuti personali delle donne che hanno deciso di interrompere la gravidanza, e ragionare di quanto oggi sia complesso costruire una narrazione collettiva sull’aborto.
Volitìva - Narrazione collettiva per la tutela del diritto all'aborto
Nel corso della serata è stato infatti presentato il progetto cinematografico Volitìva - Narrazione collettiva per la tutela del diritto all'aborto, nato da un’idea del Collettivo Tutte a Casa, di cui chi scrive fa parte. Un collettivo di registe, autrici, giornaliste e lavoratrici dello spettacolo, nato nel 2020 in pieno Covid, e autore del docufilm partecipato omonimo, Tutte a casa – Memorie digitali da un mondo sospeso, trasmesso in anteprima su La7 in occasione del primo anniversario del Lockdown, e vincitore di diversi premi.
La forza della narrazione autobiografica
A qualche anno di distanza, il Collettivo si è interrogato su come continuare a tessere il filo di un racconto femminile e femminista, come quello inaugurato con la narrazione autobiografica in piena pandemia. E proprio in un momento storico in cui il diritto alla scelta da parte delle donne viene nuovamente reso oggetto di discussione, sia al livello internazionale che italiano, la risposta non poteva che essere una: mettere al centro il tema dell’autodeterminazione, attraverso il punto di vista personale.
Quando il cinema affronta l’aborto
Nell’ultimo anno, sin dal lancio della call per la raccolta di video-testimonianze, è risultata ben presto evidente la difficoltà di interpellare le donne su un tema che rappresenta ancora oggi un nervo scoperto. Meglio: una ferita aperta. Nonostante capolavori della letteratura di questo secolo come L’Evento di Annie Ernaux, e il suo adattamento cinematografico vincitore del Leone d’Oro a Venezia – solo per citarne uno – raccontare la propria esperienza dell’aborto rappresenta ancora un tabù. A dimostrarlo è una profonda discrasia: da un lato l’entusiasmo con cui le donne contattate per Volitiva hanno risposto all’idea di un documentario su questo tema; dall’altro, la fatica di esporsi in prima persona, di condividere esperienze autobiografiche che, seppure lontane nel tempo, restano ancora vivide nella memoria corporea, oltre che in quella cerebrale.
Le testimonianze raccolte
Ciononostante, le testimonianze fino ad ora raccolte, permettono di tessere una trama estremamente interessante, che cuce insieme storie di vita e di scelte diverse, ma con una serie di elementi comuni ben riconoscibili. Donne anziane che ricordano il passato, donne già madri di altri figli, ragazze appena maggiorenni, donne che non hanno mai contemplato nel loro progetto di vita l’esperienza della maternità. Persone con vissuti estremante diversi, ma tutte accomunate dall’aver incontrato di fronte a loro un muro.
Percorsi sanitari a ostacoli e medicina di genere
Tutte riportano nei loro racconti la descrizione di percorsi sanitari a ostacoli, colpevolizzazioni gratuite, pressioni psicologiche da parte del personale sanitario. Accanto a ciò, la difficoltà di confrontarsi con un numero sempre crescente di ginecologi obiettori. La riflessione aperta con Volitiva, frutto di un costante confronto tra cineaste e donne, ha però voluto fare uno step ulteriore: interrogarsi non solo sull’aborto come diritto da garantire e scelta da non negare. Ma anche sul tema del corpo della donna inteso come contenitore, che chiama in gioco una riflessione più ampia sulla cultura e sulla medicina di genere.
Interruzioni di gravidanza e parti: tutte nella stessa stanza
Ciò che emerge fortemente dalle testimonianze raccolte è che, in definitiva, a “dare fastidio” non è solo l’aborto come scelta volontaria, ma più in generale l’aborto in sé, inteso come “fallimento della vita e della natura”. Risuonano dolorosi i racconti di donne che hanno vissuto l’esperienza dell’aborto spontaneo o terapeutico, trattate in ospedali e cliniche senza alcun rispetto di un vissuto di profonda pena, fisica e psicologica. Non può che definirsi assurdo il fatto che nel 2025 le donne che hanno abortito, per scelta o per caso, vengano ancora ricoverate nello stesso reparto con le donne che hanno appena partorito, o stanno per partorire. È disumano costringerle ad ecografie di conferma nella stessa sala con gestanti sottoposte a monitoraggio del feto. È una violazione sistematica del loro diritto alla riservatezza, alla tutela psicologica, a un percorso sanitario dignitoso. Tutto questo Volitiva vuole raccontare e denunciare, attraverso una narrazione collettiva che parta dalle storie che le donne hanno vissuto, e che non riescono a dimenticare. Per partecipare al progetto: tutteacasa@gmail.com.