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“A Tripoli ho provato a lavorare come barbiere. Sono stato in Libia un paio di mesi, sentivo le sparatorie delle milizie per le strade. Poi sono riuscito ad attraversare il mare per arrivare qui. Vorrei stare in Italia adesso, anche se non ho amici qui”. Mostaf (nome di fantasia, ndr), che ha lasciato la sua famiglia in Egitto per cercare un futuro migliore in Italia: ce lo dice con un sorriso dietro al quale si intravede la sua gioventù rubata.
Lo incontriamo al Cpa di Bari Palese, il centro di prima accoglienza - ex Cara - in cui la Flai Cgil e l’ong Mediterranea mercoledì scorso hanno organizzato un presidio sanitario e informativo per i migranti che vivono nella struttura. Presenti all’iniziativa anche il segretario generale della Flai Giovanni Mininni e la vice presidente di Mediterranea Saving Humans Vanessa Guidi.
Anche così si rafforza la collaborazione tra il sindacato dell’agroalimentare e l’associazione, che ad inizio 2025 hanno siglato un protocollo d’intesa. Nei giorni che hanno preceduto l’intervento al Cpa di Bari, inoltre, un gruppo di attivisti di Mediterranea ha partecipato per la prima volta alle attività di sindacato di strada portate avanti nel Barese dalla Flai, nell’ambito della campagna nazionale Diritti in campo.
Un altro ragazzo si avvicina all’ambulatorio mobile di Mediterranea, ritira cauto il “numeretto” e si mette in coda. Ai presenti indica ginocchia e gomiti, poi aiutandosi col traduttore dello smartphone racconta di essere stato un anno in Libia, dove ha subito torture dalle guardie dei centri di detenzione per migranti e per questo ora ha problemi alle articolazioni. Alcune persone che vivono nel centro spiegano che avrebbero bisogno di esami radiologici o fisioterapia e invece gli vengono prescritti solo antidolorifici.
Nel Cpa di Bari, dove si vive in una serie di container prefabbricati, è attivo un presidio sanitario, i mediatori culturali dicono di fare il possibile per rispondere alle richieste degli “ospiti”, vengono organizzati corsi di lingua e c’è uno sportello per affrontare l’iter burocratico dei documenti. Ma, da tempo, i migranti all’interno della struttura lamentano che i servizi della struttura sono del tutto insufficienti, al punto di mettere a repentaglio la vita stessa degli ospiti.
Lo scorso 5 novembre un corteo partito dal Cpa ha raggiunto la Prefettura di Bari, per manifestare contro le condizioni inaccettabili in cui i migranti si trovavano a vivere. Il giorno prima un uomo di 33 anni originario della Guinea ed ospite del centro, Bangaly Soumaoro, era morto all’ospedale di Bari a causa di un'ulcera che – secondo la Procura che ha disposto l’autopsia - non sarebbe stata curata correttamente.
Nei giorni che hanno preceduto il decesso, Soumaoro si era rivolto al presidio sanitario del Cpa lamentando dolori allo stomaco. Il 118 è stato chiamato però solo il 4 novembre, quando i sanitari hanno disposto il ricovero in ospedale. All’inizio si era detto che l’uomo avesse ingerito delle pile, circostanza esclusa dagli accertamenti disposti. Le indagini sarebbero ancora in corso.
I servizi sanitari precari, però, non sono l’unico problema che i migranti denunciano. A causa delle lungaggini dell’iter di richiesta di protezione e delle difficoltà di trovare posto nella seconda accoglienza, nei cosiddetti progetti Sai (il Sistema di accoglienza e integrazione, ex Sprar ed ex Siproimi, ndr) il centro, che avrebbe una capienza di circa 750 posti, ha problemi di sovraffollamento. Il numero insufficiente di posti nel sistema Sai, inoltre, fa sì che i migranti una volta riconosciuta la protezione si possano trovare costretti ad uscire dal Cpa, pur non avendo un posto in cui andare a vivere, così come denunciato mesi scorsi dallo sportello Fuorimercato.
Che le condizioni del Cpa di Bari siano “insostenibili” lo denunciano anche gli operatori di pulizia e accoglienza che hanno deciso di aderire alla protesta promossa dalla Cgil lo scorso 7 luglio. I lavoratori hanno parlato di sovraffollamento, condizioni igieniche precarie, turni di lavoro sempre più pesanti e personale insufficiente. Tutto ciò a danno dei diritti degli ospiti e degli operatori stessi.
A questi problemi, si somma una questione “logistica”. Per entrare ed uscire dalla struttura, che sorge all’interno di una base militare dell’aeronautica, bisogna utilizzare un servizio navetta che trasporta i migranti dall’ingresso del Cpa alla più vicina fermata dell’autobus e viceversa, circostanza che rende difficoltoso per le persone recarsi in città oppure andare a lavoro.
In questo contesto si inserisce l’iniziativa di Flai Cgil e Mediterranea, che punta a realizzare interventi nei luoghi di vita e di impiego di lavoratrici e lavoratori più vulnerabili. Seguendo l’idea che salvare vite nel Mar Mediterraneo si leghi in modo indissolubile a tutelare quelle stesse persone quando si trovano nel nostro Paese, troppo spesso in situazioni di precarietà abitativa, lavorativa quando non di vero e proprio sfruttamento e ricatto.