Di cosa parliamo quando parliamo di box office? Perchè un film incassa e un altro no? E soprattutto, cosa sta succedendo adesso con la "tragedia" delle sale cinematografiche? Dopo la prima chiusura dei cinema, ora che è arrivata la seconda, l'impegno è quello di ragionare per capire davvero la dinamica del settore e provare a gettare uno sguardo lungo verso il futuro. Lo abbiamo fatto con Luca Baroncini, redattore della rivista di cinema Gli Spietati ed esperto di box office: da anni è responsabile della rubrica Il Barometro, che monitora con cura l'andamento del cinema in sala, gli incassi e le tendenze, e cerca di interpretarle.

Non c'è un precedente nella Storia: a un certo punto, da un giorno all'altro, le sale cinematografiche hanno chiuso. Il cinema si è spento. Ha fatto un passo indietro dinanzi a un dramma epocale, al contrario - per esempio - di ciò che accadde negli Usa durante la seconda guerra mondiale: Hollywood continuava a produrre e i cinema erano aperti, per tenere alto il morale della popolazione nel conflitto. Allora, cos'è successo al box office lo scorso marzo, quando l'Italia è entrata in lockdown? Quali sono stati gli effetti sugli incassi?

Con la serrata di tutte le sale d’Italia a partire dall’8 marzo, cala il sipario sulle proiezioni cinematografiche e il box-office crolla. Peccato, perché la stagione stava andando bene, con numeri in attivo rispetto al 2019. La chiusura interrompe un rapporto di fiducia non così scontato tra spettatore e sala cinematografica. Gli ammortizzatori sociali forniscono aiuti concreti agli esercenti, per sopravvivere in questi mesi di assenza di entrate, ma la situazione è ovviamente critica, soprattutto perché piena di insidie: perdere il rapporto con il pubblico è un attimo, riconquistarlo dopo mesi di streaming compulsivo molto più difficile.

Poi il nostro Paese ha riaperto e anche i cinema hanno potuto riaprire, nel rispetto delle norme anti-Covid con sanificazione, distanze e mascherine. Io nelle sale della mia città sono andato spesso: ho visto ovunque una tutela rigorosa della sicurezza, ma sempre pochissimi spettatori. I cinema sono ripartiti davvero? Com'è andata?

La riapertura non ha funzionato per vari motivi. Intanto l’allentamento delle misure restrittive per la sala cinematografica è stato deciso a pochi giorni dalla riapertura, trasmettendo l’idea di andare più al patibolo che in sala. La poca chiarezza sui protocolli, l’assenza di film da proporre e ovviamente la canicola da sempre nel nostro Paese nemica del buio delle sale, hanno fatto il resto. Il risultato è che al 15 giugno solo il 5% delle sale ha riaperto, con un graduale ma lento aumento nei giorni successivi. Quando poi è stato chiaro che fino a dopo ferragosto nessun nuovo film sarebbe arrivato, molti hanno pensato bene di godersi l’estate in altro modo e di limitarsi a beneficiare degli ammortizzatori sociali. Unica eccezione le arene estive, nelle altre stagioni quasi ininfluenti (anche perché in gran parte non monitorate), quest’anno invece determinanti e in grado di incidere sul box-office giornaliero anche nella misura dell’80%. La distribuzione non è stata purtroppo un valido alleato perché ha obbligato molte sale, soprattutto i multiplex, a proporre film addirittura delle stagioni precedenti, e già presenti in tutte le piattaforme, in quanto meno costosi rispetto a quelli seminuovi.

È piuttosto evidente che nel meccanismo che muove il settore qualcosa si  è inceppato.

In generale ciò che è mancato è stato sedersi a un tavolo, tutte le parti in campo, cercando una strategia comune in grado di guardare non solo all’immediato, quindi a fare cassa, ma a mantenere vivo il fondamentale legame con il pubblico. Tra le tante scelte discutibili, anche quella di proporre solo una minima parte dei film andati in streaming durante il lockdown. Perché non fare uscire L'uomo invisibile, Emma o Trolls: World Tour? Perché non riproporre subito Gli anni più belli di Gabriele Muccino, che con il lockdown aveva interrotto la sua corsa, invece di aspettare un mese di vuoto di proposte? Incertezza, assenza di promozione e poco appeal dei film proposti, hanno finito per scoraggiare un po’ tutti, gli esercenti ad aprire (fino a ferragosto solo il 20% lo fa) e il pubblico a riacquistare fiducia.

In questa tempesta perfetta comunque qualcuno ci ha provato. Lode a quelli che hanno portato i film nelle sale, tentando di rialzare la testa. Quali titoli sono andati meglio?

Si è creato un piacevole e inaspettato blackout. Per la prima volta il box-office è stato appannaggio di film italiani e d’essai, gli unici a tentare la strada della sala cinematografica. Il maggiore incasso, fino all’arrivo di Tenet, è stato Favolacce, tallonato per tutto il periodo estivo da I miserabili. Parliamo di cifre piccole, un totale per ognuno dei due film inferiore ai 200 mila euro, ma a livello di posizione nel box-office giornaliero sono i più visti per lungo tempo. Un’occasione inaspettata, vista l’assenza dei colossi d’oltreoceano, che è proseguita anche dopo, con numeri maggiori, e poteva dare l’opportunità al cinema italiano e d’essai di insinuarsi nell’interesse del pubblico. Sarebbe stato necessario però agire di concerto per sostenere le uscite, senza lanciarle in poche sale, con poco appeal e in un vuoto di promozione. Nei mesi post ferragosto ha funzionato bene, oltre a Tenet, anche After 2 con 4,1 milioni di euro di incasso, capace di riportare gli adolescenti in sala. Il target più restio a tornare al cinema è stato quello delle famiglie, che è anche uno dei più remunerativi per l’esercizio. Il delizioso Onward della Disney/Pixar fatica due mesi per raggiungere il milione di euro e la sua bassa remuneratività deve avere condizionato non poco le decisioni successive del colosso americano. Il film italiano più visto del periodo è Padrenostro, con un incasso prossimo al milione di euro, che ha beneficiato della Coppa Volpi vinta a Venezia da Pierfrancesco Favino. Da tutto ciò si deduce che una nicchia di fedeli alla sala c’è, ma non si rivela sufficiente a sostenere il sistema che per sopravvivere ha bisogno di grandi numeri e quindi di cinema commerciale.

Il film di Christopher Nolan, Tenet, ha tentato di riportare la persone in sala. Il magazine di Le Monde ha posto in copertina il volto del regista col titolo: "L'uomo che deve salvare il cinema". Il verbo era addirittura all'imperativo, un dovere. Ma poi forse i cittadini non si sono fidati nel frequentare le sale in sicurezza. Così molti distributori hanno scelto di rilasciare i loro film direttamente in streaming. Cosa ne pensi? Era inevitabile?

Tenet è stato designato come il film che avrebbe riportato il pubblico mondiale nelle sale cinematografiche. Purtroppo la lodevole disponibilità della Warner Bros di essere la prima a rischiare con un colosso da 200 milioni di dollari (e quindi con la necessità di incassarne almeno 400, perché circa la metà va agli esercenti) si è scontrata con la riottosità del virus che in alcuni Paesi non ha dato segni di arresa. È successo così che il continuo spostamento di date (era previsto per luglio) ha portato l’uscita del film a fine agosto in Italia e in settembre negli Stati Uniti. Se in Italia, con un incasso finora di 6,7 milioni di euro, non ci si può certo lamentare (Dunkirk - il precedente Nolan - in regime normale ne aveva incassati 8,9), il problema è soprattutto il riscontro negli Stati Uniti, dove molti mercati fondamentali (New York e Los Angeles in primis) sono ancora chiusi e il virus imperversa più che mai. I 52 milioni di dollari incassati in Usa, sommati agli altri mercati, fanno un totale di 341 milioni di dollari, inferiore alle previsioni. È stato l’andamento sottotono di Tenet a indurre tutte le major a posticipare i loro film lasciando i cinema di tutto il mondo privi di blockbuster e del grande pubblico, quello che fa i grandi numeri e permette all’esercizio di funzionare. In alcuni casi ciò si è tradotto nel proporre i propri film sulle piattaforme online.

Il caso più clamoroso è stato la decisione della Disney di lanciare Mulan direttamente in streaming sulla piattaforma Disney+. Un gesto che ha scatenato le proteste degli appassionati, ma soprattutto degli esercenti: se ci togliete anche Mulan, questo il senso, non sappiamo più cosa fare.

Esatto. Disney lancia Mulan su Disney+ attraverso un’operazione unica nel suo genere, perché non solo in abbonamento, ma con un sovrapprezzo di 29,99 dollari (21,99 euro per l’Italia). Sul risultato dell’operazione non ci sono dati confermati dalla Disney, ma pare sia stata molto redditizia e in grado di generare un’entrata netta, quindi da non suddividere con gli esercenti, pari a circa 260 milioni di dollari. Se il dato fosse confermato, si aprirebbero nuovi scenari abbastanza apocalittici per la sala. La decisione della Disney di proporre anche Soul direttamente sulla sua piattaforma, questa volta senza sovrapprezzo, proprio il giorno di Natale, in evidente concorrenza con le sale cinematografiche che nelle festività vivono il loro apice, sembra confermare tali scenari. Al di là delle proprie legittime scelte di business (la Disney ha dichiarato di indirizzarsi sempre più verso l’online), non si capisce perché non affiancare comunque allo streaming anche la sala, ottenendo così una doppia entrata. Si sceglie invece deliberatamente di abbandonare le sale cinematografiche al loro destino, lasciandole senza quel prodotto forte che potrebbe fare la differenza in un momento così delicato.

Adesso il governo ha richiuso i cinema, si torna al punto di partenza. In definitiva che dimensioni ha la tragedia delle sale? Cosa ti aspetti per il futuro?

Prima ero abbastanza ottimista, con il supporto dei dati del box-office che mostravano una lenta ma costante ripresa. Poi è arrivato il nuovo Dpcm del governo, che ha imposto la chiusura di cinema e teatri per un mese (dal 26 ottobre al 24 novembre) per contrastare l’aumento dei contagi: questo ha reso necessario ripensare tutto. Una scelta miope e frutto di una generalizzazione che ha portato a decisioni poco eque (chiese aperte e cinema chiusi), ma soprattutto non ha tenuto conto dell’oggettività dei dati statistici: nessun focolaio durante i festival di Venezia e Roma, e nessun contagio, nemmeno uno, riconducibile alla sala cinematografica tra gli oltre cento milioni di spettatori in tutto il mondo che sono andati al cinema durante la pandemia. Poi, diciamolo, bastava farsi un giro nei cinema per capire che sono tra i pochi luoghi sicuri in cui andare per svagarsi: in silenzio, distanziati e con mascherina. La sensazione è che chi ci governa nelle sale cinematografiche, ma anche nei teatri, non ci metta piede da tempo. Se dobbiamo imparare a convivere con il virus, perché non cominciare da quei luoghi che a livello statistico, quindi presumibilmente oggettivo, si sono rivelati più sicuri?

Molte sale rischiano il fallimento o hanno già chiuso, generando nuovi disoccupati. Cosa bisogna fare? Provando a guardare al futuro, c'è una ricetta possibile per riportare la gente dentro un cinema?

Difficile fare previsioni, dopo questa seconda serrata sarà tutto ancora più complesso. Cosa accadrà lo scopriremo. L’invito è di ragionare il più possibile con il supporto dell’oggettività dei numeri. La salute prima di tutto, ovviamente, ma occorre appellarsi anche alla ragionevolezza e alle statistiche, non a chi urla più forte. Ci aspetta un periodo di streaming compulsivo, e per fortuna che ci sono le piattaforme in un tempo così, ma sono convinto che l’assenza della sala genererà, se ben supportata dagli addetti ai lavori (ma su questo sono scettico), una decisiva consapevolezza: i film possono essere ovunque, ma il cinema è solo in sala. Non resta che incrociare le dita e quando le sale riapriranno non solo parlarne, ma frequentarle. Siamo stanchi di proclami, attestati di stima e pacche sulle spalle, occorrono fatti. Questi si concretizzano nel sostegno economico del governo in primis, ma anche nelle nostre scelte di spettatori.

(Nelle foto: la reazione di due cinema americani dopo la chiusura per lockdown)