La Giornata mondiale dell’ambiente che si celebra il 5 giugno dal 1972, quest’anno è dedicata all’azione collettiva per contrastare l’inquinamento da plastica. Una vera e propria piaga a livello mondiale.

Nel 2019 la produzione globale di plastica ha raggiunto i 460 milioni di tonnellate, prevalentemente da fonti fossili, più del doppio rispetto al 2000, quando se ne registravano 234 milioni, e quattro volte rispetto al 1990 (fonte: Global Plastics Outlook dell’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico).

Per arrivare a questa gigantesca quantità vengono immessi nell’ambiente 1,8 miliardi di anidride carbonica equivalente all’anno, ovvero il 3,4 per cento delle emissioni globali di gas serra.

Ma quanta ne riusciamo a riciclare realmente? Poca, pochissima, solo il 9 per cento. Il resto finisce in discarica, incenerita o si disperde nell'ambiente: principalmente sulle spiagge, nei fiumi e negli oceani nei quali, secondo una stima, ogni abitante del pianeta riversa in media 43 sacchetti all’anno, ognuno dei quali impiega fino a 30 anni per degradarsi. La plastica rappresenta l’80 per cento dei rifiuti dispersi nell’ambiente marino e costiero del Mediterraneo, di questi oltre la metà è rappresentata da oggetti monouso.

Un trattato globale

L’appuntamento della Giornata mondiale cade a due mesi dalla nuova sessione dei negoziati Onu per un trattato globale sull’inquinamento da plastica, in programma a Ginevra da 5 al 14 agosto, dopo il mancato accordo dello scorso anno. L’obiettivo è riuscire a sottoscrivere un documento internazionale giuridicamente vincolante che affronta l’intero ciclo di vita della plastica, dalla produzione alla progettazione allo smaltimento.

Tre i punti in discussione: la riduzione della produzione, l’eliminazione di sostanze chimiche nocive e l’individuazione di fondi per i Paesi in via di sviluppo per aiutarli nella gestione dei rifiuti. Il negoziato è iniziato nel 2022 e non si è trovato ancora nessun accordo.

Giusta transizione

“L’inquinamento da plastica è una grave minaccia per la salute globale – afferma Christian Ferrari, segretario confederale Cgil -. Il modello consumistico spinge a un eccesso di produzione e utilizzo di questo materiale, a partire dagli imballaggi, che dobbiamo assolutamente contrastare. L’impegno della Cgil è per la riduzione della produzione dei rifiuti e degli sprechi, la transizione verso un’economia circolare e decarbonizzata, che punti all’ecodesign, la manutenzione e la riparazione, lo smontaggio per il riutilizzo delle parti, il riciclo. Insieme alla Confederazione internazionale dei sindacati sosteniamo i negoziati per il trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica, affinché siano ambiziosi e assumano obiettivi concreti anche per garantire una giusta transizione a livello globale che tuteli i diritti di tutti i lavoratori, anche di quelli informali coinvolti nella raccolta rifiuti”.

Allarme micro e nanoplastiche

Accanto all’allarme per l’inquinamento dell’ambiente e delle acque, negli ultimi anni è cresciuto anche quello per le conseguenze che hanno le plastiche disperse sulla salute degli esseri viventi e in particolare dell’uomo. Parliamo delle micro e nanoplastiche che si accumulano negli ecosistemi naturali e che secondo numerosi studi scientifici recenti entrano nella catena alimentare. Noi le ingeriamo, mangiando alimenti come sale, miele, carne, frutta, verdura e pesce, le inaliamo e in misura minore le assorbiamo attraverso la pelle.

Ingeriamo particelle

“Le stime attuali suggeriscono che un individuo possa ingerire fino a 52 mila particelle di plastica all’anno – denuncia il Wwf nel report ‘Oltre la plastica. Il peso nascosto dell’inquinamento’ -. Anche l’inalazione è un fattore importante nell’assunzione umana di micro e nanoplastiche: in un metro cubo d’aria ce ne possono essere fino a 5.700 e un individuo può inalare fino a 22 milioni di questi minuscoli frammenti in un anno”.

Plastica in tutto il corpo

Questi pezzettini infinitesimali di plastica sono stati rilevati in tutto l’organismo umano. “Nelle urine, feci, nel liquido seminale, nel latte materno ma anche in polmoni, fegato, reni, colon, placenta, ovaie, cuore e persino nel cervello, dove si pensava che la barriera ematoencefalica offrisse una protezione sufficiente – spiega il dossier del Wwf -. Studi recenti hanno rilevato concentrazioni di plastica nel cervello fino a quasi 7 grammi, l’equivalente del peso di una penna a sfera, con livelli anche 30 volte superiori rispetto ad altri organi, come fegato e reni”.

Obiettivi da centrare

Nonostante siano in vigore divieti e imposte sulla plastica monouso in oltre 120 Paesi del mondo, il loro effetto sull’inquinamento complessivo rimane contenuto perché non incidono in modo rilevante sulla quantità totale di plastica consumata. Per centrare l’obiettivo di un’economia sempre più circolare secondo l’Ocse è necessario rafforzare l’uso di strumenti economici e normativi, come la responsabilità estesa del produttore, i sistemi di deposito cauzionale e le tariffe puntuali.

Occhi puntati quindi sul trattato Onu in discussione a Ginevra. Le organizzazioni ambientaliste chiedono all’Italia maggiore impegno: un ruolo attivo nei negoziati internazionali, l’adozione di politiche coerenti con gli obiettivi europei e globali, e il rafforzamento delle misure interne, tra cui l’estensione della raccolta differenziata ai settori ad alto consumo di plastica, l’attuazione della Plastic tax e la piena applicazione della legge Salvamare.