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Il professor Adriano Giannola è un economista, un meridionalista, è il presidente della Svimez e “osserva” quel che accade nella società meridionale con attenzione. È colpito dallo Studio della Cgil sul divario salariale tra Sud e Nord, lo legge osservando ciò che avviene nei quartieri di Napoli che, spiega, raccontano con precisione le ragioni di quel divario. “La maggior parte dei nuovi assunti lo sono da agenzie interinali che li smistano a chiamata”, quello che si crea – quindi – è lavoro povero, a basso valore aggiunto. Il Pnrr poteva essere, anzi meglio avrebbe dovuto essere l’occasione per progettare lo sviluppo del meridione, invece è stato la “riverniciatura di una macchina vecchia” con il motore ormai esaurito. Una vera occasione mancata.
Professore, un recente studio della Cgil ha messo in evidenza un differenziale salariale tra Nord e Sud notevole, che ne pensa?
Non è una cosa nuova che i salari del Sud siano circa il 20% meno rispetto al Nord, ma la cosa che fa più impressione leggendo questo studio è la concentrazione delle quote di salari penalizzati, le mansioni. Se penso al turismo – ad esempio – in grande espansione, in realtà è un lavoro povero, molto precario. Contemporaneamente i giovani che possono se ne vanno.
Se si incrociano i dati con quelli dell'ultimo Rapporto Svimez, sembrano quasi in contraddizione. Da un lato c'è un aumento considerevole dell'occupazione nelle regioni meridionali e dall’altro il divario salariale tra Nord e Sud.
Secondo me è il segnale di una questione precisa: tutto il lavoro che si è creato è lavoro povero. Rimaniamo all’esempio del turismo. La maggior parte degli addetti non sono nemmeno assunti dalle singole aziende del settore e dipendono da agenzie interinali che smistano i lavoratori e le lavoratrici là dove c’è richiesta; quindi, risultano assunti ma in realtà lavorano a chiamata e non hanno “un padrone” a cui far riferimento. Dopo, c’è solo il lavoro “informale”. C’è anche un secondo fenomeno da osservare: è vero che noi della Svimez registriamo un aumento dell’occupazione, ma occorre tener presente che è aumentata l’età pensionabile e quindi la gente è costretta a restare al lavoro. Altro fenomeno assai rilevante, invece, è l’emigrazione dei ragazzi e delle ragazze. Ed è un’emigrazione diversa da quella del passato perché ad andarsene non sono più i più poveri che cercavano fortuna all’estero. Oggi vanno al Nord o all’estero quelli che possono permetterselo. Le famiglie mantengono fuori i figli a studiare e questi poi non tornano, acquisiscono skill che spendono dove è possibile, al Nord o all’estero, trovano migliori occasioni di lavoro altrove. Questa emigrazione dei giovani qualificati ha un effetto molto pesante sulla società locale, la impoverisce.
Professore, questo ragionamento mi porta a dire che non solo c'è una fragilità del mercato del lavoro meridionale, ma che il valore aggiunto dell'occupazione che si trova nel Mezzogiorno è molto basso.
È così, e aver reso le città – penso a Napoli ad esempio – come grandi catalizzatori del turismo mordi e fuggi ha aggravato questa situazione. È una forma di pianificazione della instabilità a livello di sussistenza. Il turismo da solo non fa l’economia di un territorio, anche perché parliamo un turismo di basso contenuto di valore aggiunto. Dà una qualche forma di tranquillità nell’immediato, ma non consente di costruire futuro.
Per ridurre questo divario salariale tra Nord e Sud, una delle vie da percorrere, mi pare di capire, sia quella di una reindustrializzazione delle regioni meridionali.
Non solo reindustrializzazione. Occorre una organizzazione strutturata dell'economia che consenta di creare occupazione decente e dignitosa. Purtroppo, il Pnrr è, almeno per ora, un’occasione sprecata. Abbiamo avuto dall’Europa 200 miliardi perché eravamo il Paese con i maggiori divari e fermo. A distanza di quattro anni, siamo tuttora gli ultimi in termini di crescita. Certo, il Sud cresce più del Nord, ma dipende dal fatto che per la prima volta da 20 anni c’è un 40 per cento di risorse di questo Pnrr destinato al meridione; la legge dice che anche ordinariamente il 40 per cento della spesa pubblica in conto capitale dovrebbe essere destinata al Sud ma non è mai successo.
Su cosa occorre puntare?
Innanzitutto sulla logistica, sui porti, sulle vie del mare, sulla transizione energetica sfruttando le energie rinnovabili, tra cui la geotermia così assolutamente trascurata. Siamo il centro del Mediterraneo e saremmo dovuti riuscire a diventare l’embrione di una nuova “Rotterdam del Sud”, cioè l’entrata in Europa dall'Italia. Avremmo dovuto attrezzare il Mezzogiorno per essere pronti a questa sfida. Il Pnrr doveva servire a questo e invece, ripeto, è un’occasione mancata. Poi, nel 2017 abbiamo fatto le zone economiche speciali ma di fatto non le abbiamo rese operative. Oggi hanno fatto la Zes unica, è una grande idiozia. Non c'è nulla di nuovo, c'è di nuovo che in questa zona speciale unica le autorizzazioni sono più rapide e si è sostituito il credito di imposta alla defiscalizzazione, e basta. Insomma, manca totalmente l’idea di una politica industriale, di capacità di progettualità
Un'ultima domanda, professore. Che prospettive vede per il prossimo anno?
Purtroppo per il prossimo anno e quello successivo vediamo la fine del Mezzogiorno che cresce più velocemente del Nord. Così come è lo stesso Governo a prevedere un rallentamento dell’economia italiana. Insomma, abbiamo speso i soldi europei, supponendo che li abbiamo spesi tutti, per fare manutenzione a una macchina vecchia senza avere il coraggio di affrontare gli aspetti strutturali del non funzionamento di questa macchina vecchia, appunto i porti, le vie del mare, la transizione energetica, la logistica. Insomma, il carrozziere alla fine restituirà una macchina dal motore quasi in panne. Davvero un’occasione sprecata. Anche per affrontare il divario salariale occorrerebbe davvero interrogarsi su tutto questo ma non pare ci sia la volontà di farlo, l’unica risposta che il Governo sembra mettere sul tappeto è l’autonomia differenziata che acuirebbe ulteriormente i divari, invece che ridurli.
























