Dopo dieci giorni di intensi negoziati, ancora una volta niente di fatto. La conferenza internazionale Onu di Ginevra per arrivare a un trattato che ponga fine all’inquinamento da plastica è miseramente naufragata. La responsabilità del fallimento ricade su una manciata di Paesi che proteggono forti interessi economici legati alla filiera della plastica e del petrolchimico. Tra questi, Stati Uniti, Arabia Saudita, Russia, Cina, India, Iran, Brasile, Cuba, Pakistan, Kenya e Nicaragua.

Accordo vincolante

La posta in gioco era alta: raggiungere un accordo storico per il futuro dell’umanità, un testo vincolante a livello globale sulla riduzione della crescita della produzione e sull’adozione di controlli sui componenti chimici usati. Ma all’undicesimo giorno l’incontro si è chiuso senza un’intesa. 

Secondo le agenzie internazionali, nessuna delle due bozze presentate dal presidente del comitato creato ad hoc nel 2022, l’ambasciatore ecuadoriano Luis Vayas Valdivieso, è stata accettata dai Paesi seduti al tavolo come base per il negoziato.

Produzione fuori controllo

Duemilaseicento delegati provenienti da 184 Stati, oltre mille osservatori raccolti in più di quattrocento tra ong e gruppi di rappresentanza, dagli indigeni ai lobbisti delle fonti fossili. Questi i numeri dell’appuntamento svizzero che avrebbe dovuto porre un freno a una produzione ormai fuori controllo: dagli anni Cinquanta del secolo scorso è aumentata secondo l’Ocse di duecento volte, fino a raggiungere i 460 milioni di tonnellate l’anno. Entro il 2040, senza cambiamenti e senza un accordo globale, si stima che possa salire del 70 per cento. Solo il 10 per cento della plastica oggi viene riciclata, mentre il 14 per cento finisce negli inceneritori e il restante 76 va in discarica o viene dispersa nell’ambiente.

Lontani dall’accordo

“Quello che abbiamo visto e sentito negli ultimi dieci giorni non è abbastanza”, dichiara Eva Alessi, responsabile sostenibilità del Wwf: “Dopo quasi due settimane di negoziati tesi siamo ancora lontani da un trattato globale per porre fine all’inquinamento da plastica. Pur offrendo una visione forte, era evidente che la maggioranza ambiziosa non era disposta a utilizzare appieno gli strumenti multilaterali a sua disposizione per garantire la serie di regole globali vincolanti richieste dal trattato. Se gli ultimi dieci giorni ci hanno mostrato qualcosa, è che cercare un consenso unanime non ci consegnerà l’accordo che il mondo ha chiesto e i nostri leader hanno promesso”.

Campanello d’allarme

Anche l’organizzazione ambientalista Greenpeace mette sull’avviso: “Il mancato raggiungimento di un accordo a Ginevra deve essere un campanello d’allarme per il mondo intero: porre fine all’inquinamento da plastica significa affrontare direttamente gli interessi dei combustibili fossili”. Non bisogna dimenticare infatti che plastica significa petrolio: il 99 per cento si ricava a partire dall’oro nero e gli Stati che ne detengono le riserve mondiali non vogliono mollare ciò che valorizza questa risorsa.

L’interesse comune

“Come abbiamo assistito spesso nelle trattative internazionali, a fronte di un gruppo di Paesi che cerca di ottenere risultati, volenterosi ma non abbastanza coraggiosi, ci sono altri Paesi che bloccano tutto per interessi particolari”, afferma Maria Grazia Midulla (Wwf): “Molti hanno interiorizzato l’atteggiamento del governo americano e del presidente Trump. Ma bisogna uscire da questo cul de sac e tenere a mente che l’interesse che c’è in gioco è generale".

Conclude Midulla: “È interesse di tutti che il mondo non sia ucciso né soffocato dalla plastica, come lo è quello di non distruggere la biodiversità o cercare di stabilizzare la situazione climatica. Dobbiamo ripartire da qui. E riprendere la cooperazione, che non è di destra né di sinistra: l’unica chance che abbiamo è il multilateralismo efficiente, dove non serve l’unanimità per raggiungere un accordo”.