L'economia collaborativa continua a crescere ed è in ottima salute. Ben più nota forse come sharing economy, da alcuni anni è sulla bocca di tutti, grazie al suo portato di innovazione e prospettive di cambiamento del tradizionale modello economico. Prospettive che col tempo hanno rivelato anche lati negativi che si manifestano nella parallela gig economy, la cosiddetta “economia dei lavoretti”. In questa fase di passaggio da più parti si richiede così un momento di riflessione e analisi sullo stato della sharing economy in Italia e sulle nuove realtà lavorative che emergono, tra molte luci e tante ombre.

“Le piattaforme collaborative di sharing economy si stanno aprendo, integrando la loro tradizionale offerta peer to peer con una che si rivolge anche al business e al terzo settore. Per i servizi collaborativi nascono nuove opportunità, così come per grandi e piccole imprese, per cooperative e associazioni aprendo la strada alla creazione di nuove filiere”, spiega Marta Mainieri di Collaboriamo. “Il modello collaborativo – aggiunge Mainieri – trova il suo ambiente ideale nelle piattaforme digitali, ma può trovare altri spazi di applicazione anche sul territorio come nuovo modello di sviluppo economico e sociale”. L’indotto “a piattaforma” è radicato nei territori, permette la costruzione di nuove logiche di rete e può offrire un campo sperimentale per il platform cooperativism: l’esempio più evidente è legato a Airbnb. Chi affitta una stanza o una casa per soggiorni brevi spesso ha bisogno di servizi di pulizie, per questo negli Stati Uniti è nato GuestPrep, che propone un “hotel style cleaning” e in Italia è operativo Properly, per l’incontro tra host e addetti alle pulizie.

LEGGI ANCHE Se il caporale è un algoritmo | Nella giungla della gig economy

La sharing economy sta cambiando anche i rapporti di lavoro e la loro regolamentazione: la gig economy avanza a fianco dell'economia collaborativa, ma spesso gli addetti sono ancora poco tutelati. “Questi nuovi modelli portano molti vantaggi, ma anche molte criticità per i lavoratori – afferma Paolo Terranova presidente nazionale Agenquadri della Cgil –. Da quelle dirette, come basse retribuzioni, elevati rischi per la salute, ricattabilità ed elevata precarietà. A quelle indirette, legate anche al fatto che mancano un mercato del lavoro e un sistema di welfare adeguato”.

Ma oltre ai danni individuali, se questo fenomeno arriverà a coinvolgere una massa elevata di persone, per Terranova ci sono rischi e danni anche a livello sociale: “Esistono nicchie riservate al lavoro altamente qualificato anche nella gig economy, ma per la grandissima parte si tratta di prestazioni di lavoro che necessitano di poche competenze. Il che non vuol dire, nel mercato del lavoro attuale, che siano anche svolte da lavoratori non qualificati. In questo c’è un enorme costo sociale. Per il Paese che non vede un ritorno dei propri investimenti in formazione, e per le imprese che non utilizzano le competenze che il sistema paese mette a disposizione”.

Molto importanti sono i numeri che emergono dal rapporto Sharitaly 2017 e che delineano una realtà italiana al passo con il contesto internazionale. Il 67% del mercato delle piattaforme è ancora locale o nazionale ma il 35,6% si muove anche oltre i confini nazionali. Mentre la classifica per settori conferma in testa e in crescita i servizi alle persone (pari al 20% delle piattaforme collaborative), tra i quali emergono ambiti nuovi come quello immobiliare. Seguono fra gli altri i trasporti (pari al 14,4%, in calo significativo), i servizi di scambio-affitto-vendita (14,4%), servizi alle imprese (9,6%), turismo (12,8%), cultura (8,8%). Per quanto riguarda il crowdfunding, il report rivela un mercato molto sviluppato, con una crescita del 45% rispetto al 2016 e investimenti pari a 41 milioni di euro. Nel 2017 in particolare l’equity crowdfunding ha avuto un'impennata del 150%, con una raccolta rivolta a start up e Pmi che ha superato 11 milioni di euro.

Numeri in crescita, ma che ancora rappresentano una piccola fetta dell'economia del paese. In questa fase sperimentale, in cui si stanno delineando caratteristiche nuove per il mercato del lavoro che verrà, il sindacato si sta interrogando su come intercettare i nuovi profili lavorativi e soprattutto frenare e arginare i problemi a cui già stanno andando incontro. Come la robotizzazione e l'automazione che, a detta di Cristian Perniciano responsabile fisco e finanza pubblica della Cgil, stanno provocando una forte polarizzazione tra lavoro povero e lavoro ricco. “Credo che il sindacato debba ‘popolare’ questo ambiente per evitare la ripetizione di fenomeni di sfruttamento che abbiamo vissuto e superato nell'ambiente fisico-analogico – ragiona il sindacalista –. Il sindacato deve iniziare a sperimentare di più. Dovrebbe parlare coi lavoratori e affidare a loro stessi anche la responsabilità dell'azione. Inserirsi in una situazione con una soluzione pensata a tavolino rischia di essere controproducente. Se non riusciamo a intercettarli coi metodi tradizionali, potremmo utilizzare le app e trasformare una richiesta di bene-servizio in un tentativo di sindacalizzazione”.

“Dovremmo valorizzare i contatti personali e provare ad uscire dai posti di lavoro – conclude il dirigente della Cgil –.. Organizzare una nuova confederalità che coinvolga i lavoratori come cittadini, ponendo a contatto le nostre rappresentanze con tutte le forze organizzate del territorio e non solo con quanti siano coinvolti nelle dinamiche della produzione del singolo luogo di lavoro”.