Le privatizzazioni, o comunque un forte “intervento”del privato per finanziare infrastrutture e servizi pubblici, non si sono affatto dimostrate efficaci. Non solo: gli interessi dei privati che investono, tesi a ottenere i maggiori profitti possibili, sono generalmente in contrasto con gli obiettivi universali e di largo respiro necessariamente legati al pubblico interesse. Nonostante questo, tuttavia, molti governi ricorrono con enfasi ai partenariati pubblici-privati. Questo il “succo” del rapporto Why Public-Private-Partnerships don’t work (Perché i partenariati pubblico-privati non funzionano, ndr) redatto da David Hall per Psi (Public Services International, il sindacato internazionale dei lavoratori pubblici) che ha valutato l’esperienza dei partenariati pubblico-privati (Ppp) nei paesi ricchi come in quelli poveri.

Le conclusioni del rapporto sono drastiche: i Ppp, secondo gli estensori della ricerca, rappresentano un modo costoso e inefficace di finanziare le infrastrutture e i servizi, perché occultano l’indebitamento pubblico e allo stesso tempo offrono a società private garanzie di Stato a lungo termine per i profitti. La ricerca svela anche le pratiche oscure dei Ppp, in gran parte tenute segreti e nascoste dietro negoziati riservati per proteggere vantaggi commerciali. Non ci sono consultazioni pubbliche, bensì molte false promesse e contratti commerciali estremamente complessi, tutti studiati allo scopo di proteggere gli utili delle imprese.

“I governi e le Nazioni unite sono fortemente influenzati da una potente lobby composta dalle maggiori società di servizi finanziari, di consulenza e legali, che cerca di trarre profitto da servizi pubblici primari come la sanità, l’acqua e l’energia“, sostiene Rosa Pavanelli, segretario generale di Psi. “Dobbiamo tenere presente – aggiunge – che le imprese del settore privato devono massimizzare i profitti se vogliono sopravvivere. Ciò è incompatibile con la necessità di assicurare un accesso universale a servizi pubblici di qualità, soprattutto per chi non è in grado di pagare tali profitti”.

Queste politiche di privatizzazione più o meno trasparenti, si legge nella ricerca, sono a loro volta legate al nuovo ciclo di negoziati commerciali (Tisa, Tpp, Ttip, Ceta), anch’essi conclusi in segreto e in assenza di consultazioni pubbliche tra le imprese commerciali e i governi che eseguono i loro ordini. Negli accordi commerciali i Ppp – così funziona il meccanismo – vengono facilitati e vincolati in modo tale che sarà quasi impossibile revocarli. Un ulteriore pericolo, denunciano ancora i ricercatori, è rappresentato dal tentativo della Banca mondiale, il G20, l’Ocse e altri di “finanziarizzare” i Ppp per accedere alle migliaia di miliardi di dollari detenuti dai fondi pensione, dalle società di assicurazione e da investitori istituzionali. Per accedere a questi fondi, infatti, i governi sono invitati a formare un grande numero di Ppp contemporaneamente per creare un insieme di attività che possono essere in seguito raggruppate e vendute a investitori a lungo termine. Questo è esattamente ciò che le società di servizi finanziari hanno fatto con i mutui casa all’inizio del 2000 e che ha portato alla crisi finanziaria globale del 2008.

Nel rapporto vengono citati alcuni casi concreti che dimostrano come i Ppp non abbiano affatto funzionato. Tra questi l’insuccesso del programma “Transport for London”, la performance negativa dell’aeroporto di Delhi, gli scandali legati alla corruzione nei progetti infrastrutturali in Cile, i problemi finanziari causati dal pacchetto di Ppp imposto dalla Troika in Portogallo. In alcuni casi, come Nuova Zelanda, Australia, Canada e Stati Uniti, i Ppp sono stati utilizza “come metodo per far quadrare i bilanci nascondendo l’indebitamento, per ridurre le dimensioni delle amministrazioni pubbliche e premiare i finanziatori privati”. Un discorso a parte meritano i paesi in via di sviluppo dove, si legge nello studio, “le banche per lo sviluppo, i donatori bilaterali e le aziende multinazionali hanno incoraggiato la diffusione dei Ppp negli anni 90, soprattutto nei settori idrico ed energetico, come parte di una strategia generale di promozione delle privatizzazioni e un modo per aggirare i vincoli fiscali imposti dalle stesse istituzioni finanziarie internazionali (Ifi) sui paesi in via di sviluppo. Anche se un certo numero di servizi è stato privatizzato, l’erogazione dei servizi ai cittadini non è migliorata”.

Per Psi, l’alternativa non può che essere pubblica: i governi nazionali e locali possono continuare a sviluppare infrastrutture utilizzando finanze pubbliche per gli investimenti e organizzazioni del settore pubblico per fornire il servizio. Tale sistema offre al settore pubblico numerosi vantaggi. Il settore pubblico, infatti, ottiene maggiore flessibilità, controllo ed efficienza comparativa – grazie alla riduzione dei costi delle transazioni, a una minore incertezza dei contratti, e anche alle economie di scala – con un incremento dell’efficienza dovuta a una maggiore responsabilità democratica.