Si è svolta oggi (26 gennaio) a Genova la presentazione della Carta universale dei diritti del lavoro. Tanti delegati hanno preso la parola nel corso del dibattito. Tra gli interventi più applauditi, quello di Viviana Correddu, della Filcams Cgil di Genova. Pubblichiamo di seguito il testo integrale

L’argomento sembrava complesso, e prima di iniziare a scrivere questo intervento ho pensato a come renderlo centrato e pertinente. Ho scaricato il cosiddetto “volantone” e quella parola – diritto - ripetuta all’infinito nel documento a cui oggi facciamo riferimento, mi ha fatto subito riflettere su quanto troppo spesso, la si dia per scontata; e allora ho voluto ricordare a me stessa che le singole parole sono importanti, e che ogni parola ha il suo significato preciso. Profondo. ognuna con una propria etimologia, che ne chiarisce il senso. E la nostra parola, che è DIRITTO (spesso usata al plurale, come fosse un termine assoluto e soggettivo), deriva dal latino medioevale  “directus”. La sua radicerec”, è la stessa di “regula” (regola), e sottolinea il legame tra l'idea di diritto, e le “regole” di cui il diritto consiste. La prima (l’idea di diritto) è soggettiva e presuppone il perseguimento dell’ideale di giustizia (“rectus”, giusto); la regola invece è ciò che lo rende oggettivamente tale.  E interessante, è stato rispolverare, che il termine latino “regula” indicava originariamente un semplice strumento usato dai muratori, per verificare che una parte della costruzione fosse perfettamente allineata, e cioè diritta.  Ecco quindi che rileggendo il “volantone”, mi è stato tutto più chiaro; ristabilire delle regole generali attraverso una nuova carta dei diritti fondamentali, è importante quanto avere tra le mani una costituzione che vale per tutti, una “regula” appunto, che delinei una strada. Una strada “diritta” e “lineare” il cui contrario è “torta”, e “irregolare”.

Una linea guida che garantisca principi imprescindibili, e sia punto di riferimento. Per tutti. E questo oggi, nel mondo del lavoro, è qualcosa di particolarmente complesso e sfaccettato, proprio come la nuova carta dei diritti dimostra. Lo sappiamo bene in Filcams, quanto sia difficile raggiungere tutte le tipologie contrattuali, e le aziende ancora poco sindacalizzate, i lavoratori a termine chiamati per due giorni, lo scenario frammentato e quindi sommerso, appalti, sub-appalti, lavoratori che storicamente è sempre stato difficile raggiungere e che restano invisibili, spesso attanagliati dal lavoro nero. E la Filcams sa bene, quanto soprattutto oggi che per molte categorie c’è da fare i conti con i mancati rinnovi dei contratti (pagina tragica della nostra attualità insieme alle tante chiusure, licenziamenti e casse integrazioni,) sia fondamentale quindi una regolamentazione universale che espliciti quei diritti inalienabili che non è più accettabile vengano svuotati del loro significato in nome di una crisi che tutto può e tutto permette!! E che ci dice continuamente: "ringraziate di avere ancora un lavoro".

Non può più essere questo, il compromesso su cui si basa la contrattazione. Non può più essere questa, la scusa per non rispettare i contratti esistenti. Le lavoratrici e i lavoratori, in nome della crisi e del risparmio, non sono più in condizioni di fare il proprio lavoro traendone soddisfazione, o appagamento. Nelle aziende, il malcontento sulle condizioni lavorative è in aumento. Troppo spesso i lavoratori vengono messi uno contro l’altro (una dinamica che purtroppo conosciamo bene, storicamente. Si chiama guerra tra poveri);  investimenti sul personale praticamente assenti; lavoro al ribasso quindi, con la conseguente impossibilità di esprimere le proprie competenze al meglio, in una schizofrenia frenetica e disordinata che non produce  altro che inadempienze e frustrazione. Aziende sempre meno capaci di selezionare la propria regia, sempre più impreparata nel riconoscere e nel dialogare con la rappresentanza sindacale, come fosse qualcosa di alieno alle loro menti. E siamo noi, a doverlo ricordare ogni giorno.. che esistiamo. E ci devono rendere conto, come da contratto nazionale. E ancora... stipendi fermi, maternità o aspettative non sostituite, incapacità di gestire i momenti di emergenza dal punto di vista organizzativo. Per non parlare poi della sicurezza sul lavoro. Una farsa.

Insomma, le difficoltà le conosciamo. Non c’è bisogno che ce le diciamo ogni volta. Quello che spesso mi preoccupa ancor più, è il riscontro di un’oggettiva mancanza di visione generale e di educazione al diritto presente sul posto di lavoro, determinante a volte a far sì che i diritti stessi, siano sorpassati e schiacciati con troppa facilità; il risultato è quello di rendere consuetudine ciò che invece non dovrebbe accadere; abbiamo vissuto di rendita forse. La “vecchia scuola” è ormai quasi tutta in pensione, e non tutti (a dire il vero troppo pochi) hanno masticato in casa propria, parole come sindacato, coscienza di classe, coerenza, dignità del lavoratore, riscatto, sciopero. Siamo agli sgoccioli. Lo voglio dire, perché sono convinta che i diritti possano essere tali e oggettivi, quando sostenuti da una legge, certo. Ma possono trovare un loro reale senso e riscontro, solo quando i soggetti (in questo caso i lavoratori) ne acquisiscono il significato profondo, universale, e ne prendono realmente coscienza. La mia impressione, è che se davvero vogliamo sentirci parte attiva del nostro tempo, e lo stiamo cercando di fare riformulando uno statuto dei lavoratori nella sua attualità, sia necessaria una ri-partenza. Come sindacato intendo. Perché se vogliamo una classe lavoratrice coesa e attiva, dobbiamo saper rieducare il mondo del lavoro ai suoi diritti e a quell’etica che vi è dietro. Etica e coerenza che permettono a tali diritti di proseguire il loro cammino, e di entrare poi nel particolare attraverso le varie contrattazioni, formando realmente uno zoccolo duro sul quale basare la lotta quotidiana all’interno dei posti di lavoro.

È da qui a mio avviso, che come sindacato abbiamo il dovere (a proposito di diritti..) di riprendere in mano la nostra storia. Una storia dalle radici forti. Ma stiamo arrivando all’anno zero. E da quella storia è necessario ri-partire. Serve una nuova coscienza di classe e siamo noi, con la nostra presenza sul campo, che abbiamo il dovere di ricostituirla, educarla, formarla. Riaccendere quella fiamma negli occhi, che raramente ormai riscontro guardandomi intorno, e che io ho ereditato da mio padre. Sindacalista, quarant’anni in cocheria all’Italsider, sempre incazzato con il mondo! Perché il mondo in cui ha vissuto tutta una vita voleva schiacciarlo come fosse un moscerino. Io l’ho vissuta quella rabbia e i pugni sul tavolo! E quella determinazione spinta dalla dignità che ogni lavoratore dovrebbe mantenere; ma non tutti (nella sfiga…) hanno avuto quello che per me ha rappresentato un privilegio. Ecco. Sarò una sognatrice, un’idealista, ma vorrei vedere intorno a me persone pronte a organizzarsi, consapevoli, che scelgono la coesione piuttosto che la divisione.

Io credo che questa sia la scommessa più grande che oggi come Cgil abbiamo davanti. Ripartire dalla carta dei diritti per un nuovo statuto dei lavoratori e ricreare un rapporto diretto e di fiducia con loro. Che siamo noi. Perché qualcosa è successo, e i lavoratori ci osservano. Se restiamo fermi, quella fiducia rischia di affievolirsi più di quanto sia già avvenuto rispetto al passato. È un percorso lungo, sicuramente difficile. Ma da qualcosa bisogna pur ricominciare. Compagne e compagni, buon lavoro.