Premio Sakharov per la libertà di pensiero nel 2001, Nurit Peled-Elhanan è tra i promotori del Tribunale Russell sulla Palestina, un tribunale popolare internazionale creato da cittadini impegnati nella promozione della pace e della giustizia in Medioriente. E’ cresciuta in una famiglia sionista progressista, suo nonno firmò la dichiarazione di indipendenza di Israele, suo padre era un generale maggiore, parlamentare del Knesset, anche lui impegnato per la pace. Sua figlia, invece, perse la vita a soli 13 anni in un attentato kamikaze. Nonostante questo lei è convinta che nel conflitto che divide Israele e Palestina a sbagliare sia proprio il suo paese come spiega nell’intervista rilasciata a RadioArticolo1 (ascolta il podcast integrale).

Come sta vivendo questo ennesimo conflitto con la Striscia di Gaza il popolo israeliano?


Credo che una parte della popolazione sia scioccata e spaventata, che la maggior parte delle persone sia nel panico e voglia che finisca. Alcuni si oppongono al conflitto con molta forza. Altri invece ne gioiscono: la parte razzista della popolazione. Quindi ci sono reazioni di ogni tipo. Penso, però,  che i politici stiano incoraggiando molto l’anima intollerante e di estrema destra. Credo che la incitino.

Dalle Nazioni Unite è arrivato il richiamo a entrambe le parti: Hamas e i gruppi armati palestinesi che lanciano razzi contro il territorio israeliano e Israele che bombarda la Striscia di Gaza. Si è detto che tutti e due violano il diritto internazionale e si macchiano di crimini contro l’umanità. E’ d’accordo?

No, non penso che i palestinesi abbiano commesso crimini contro l’umanità. Penso invece che reagiscano a dei crimini commessi contro di loro. Fanno quello che farebbe chiunque sia minacciato, abusato, attaccato. Si difendono e cercano di fare il possibile - che è molto poco. Non penso che si possa definire quello che fanno i palestinesi un crimine contro l’umanità mentre quello che sta facendo Israele si chiama genocidio, riconosciuto come crimine contro l’umanità dal diritto internazionale.

A questo punto chi dovrebbe difendere il diritto internazionale che Israele sta violando?


Il mondo, quelli che quel diritto hanno scritto e sancito. Penso che lo debba difendere l’Europa. Penso che lo debba difendere l’Occidente. Se ci tengono davvero ai diritti umani allora devono difenderlo. Ma non credo gli interessi. Non credo che gli interessino i diritti umani quando riguardano gli arabi.

Perché sostiene questo?

Perché è quello che accade ovunque nel mondo. Non interessa quando vengono uccisi gli iracheni, non interessa quando vengono uccisi gli afghani  e non frega niente quando vengono assassinati i palestinesi. Penso che ognuno cerchi di trarre il suo profitto e che in ballo ci siano molti soldi. L’Occidente lucra da tutto questo, in fondo l’industria bellica è florida e distribuisce molto denaro a tutti.

Lei ha firmato numerosi appelli per la pace. Alcuni chiedevano proprio di fermare la vendita di armi a Israele. Cosa pensa che occorra fare per dimostrare che all’Occidente interessano i diritti umani di tutti, anche degli arabi, anche dei palestinesi?

Ci sono molte azioni che possono essere intraprese e che sono già state utilizzate in passato contro Ceaușescu,  contro dittatori e tirannie orribili, contro Saddam Hussein, contro coloro che utilizzavano armi non convenzionali come fa Israele a come tutti sanno. Penso che un embargo sarebbe opportuno, credo che la risposta sia: boicottare, disinvestire e sanzionare in modo che ogni israeliano senta che non ne vale la pena… un po’ come sta accadendo con i voli internazionali. Penso che sia un buon modo per far capire a Israele che quando è troppo è troppo. Boicottaggio e sanzioni: questo è quanto.

Pensa che una soluzione di questo tipo possa essere accettata da Paesi come gli Stati Uniti – unico voto contrario alla commissione d’inchiesta proposta dalle Nazioni Unite?


No, non penso gliene importi. Gli interessi militari che li legano a Israele sono fiorenti soprattutto in tempo di guerra e questa è l’unica cosa che conta per gli Americani perché il loro Dio è il denaro, perciò fintanto che ci sarà denaro in gioco non approveranno mai un’operazione di questo tipo. Non gliene frega un dannato niente di nessuno, ma gli interessano moltissimo i soldi.

La conversazione con Nurit Peled Elhanan prosegue affrontando anche il nodo del razzismo che lei dice essere molto radicato in Israele. Alla domanda di spiegare dove vanno rintracciate le sue origini l’attivista risponde così.


Penso che le radici affondino nell’Europa dell’Est, la terra da dove provenivano i padri fondatori di Israele dopo aver tanto sofferto proprio a causa del razzismo. Era un linguaggio che capivano e che capiscono tutt’ora: o sei tu ad accoltellarmi alle spalle o sono io a farlo. Per poter accoltellare qualcuno alle spalle, però, devi presentarlo come uno che se lo meriti e così fai di tutto per de-umanizzarlo, per dipingerlo come malvagio e vile e in Israele tutto il discorso pubblico è razzista. Lo è l’istruzione: ogni cosa ruota attorno all’idea di trasformare i palestinesi da esseri umani a una sorta di orribile problema che occorre risolvere. E’ così che vengono istruiti i bambini in modo che quando diventeranno soldati saranno pronti a compiere ogni azione. Ma questo ha origini in Europa. Penso che sia una caratteristica molto legata all’Europa dell’Est e a quello che lì subirono gli ebrei.

Ma forse proprio per le enormi sofferenze subite dal popolo ebraico, la storia di Israele poteva essere diversa. Perché non è così?

Perché non lo è mai. Non credo che ci sia un caso nella storia in cui un popolo che ha sofferto poi è diventato molto umano, benevolo, amorevole o umanitario. Non è vero. Le persone che soffrono diventano perverse e fanno soffrire altri. Inoltre nel caso di Israele arrivarono già con quest’idea. Nessuno dei padri fondatori dello Stato di Israele proveniva da un’atmosfera o da una storia democratica. Non sapevano cosa fosse la democrazia. Quindi, dopo essere stati umiliati, discriminati e sterminati, presero a fare le stesse cose a qualcun altro. Non tutti loro ovviamente. Ma i leader hanno utilizzato questa modalità per portare avanti i loro progetto colonialisti. Non penso che questa filosofia sia giusta e non penso che sia provato nella psicologia o in nessun altro campo che persone che hanno sofferto così tanto diventano buone. Ovviamente alcune di loro lo sono e ne conosciamo molti casi, ma, in generale, penso che il male generi altro male. C’è poi da dire che le persone che oggi stanno vessando i palestinesi non hanno sofferto nulla sulla propria pelle, nessun olocausto, è un capitolo chiuso. Intendo dire che l’educazione razzista in Israele si fonda – forse - sull’olocausto ma che le persone oggi di quell’olocausto non sanno nulla, non conoscono neppure quello che è accaduto. Per questo credo che la connessione non sia così semplice.

Anche lei ha sofferto molto nella sua vita perché ha perso sua figlia in un attentato terroristico. Anche in quel caso ha accusato Israele. Perché?


Penso che ogni bambino che muore, ogni morto lì sia una vittima dell’occupazione. Perché l’occupazione è un’incubatrice di tutto questo male. E’ il regime dell’occupazione a istigare eventi come quello.

Ascolta il podcast integrale